Giuseppe Conte e Vito Crimi provano a reincollare i cocci di quel vaso, il M5s, ormai scivolato di mano rovinosamente. Gli ormai ex presidente ed ex reggente provano a rimettere insieme i pezzi della intricata vicenda giudiziaria del Movimento per provare a riprenderne le redini. Non sarà facile. Oggi tornano in aula a Napoli, dove si scontreranno con quella inaffondabile corazzata dei ricorrenti che è l’avvocato Lorenzo Borré.

I legali di Conte si fanno forza di un appiglio: la questione è contenuta in una mail inviata l’8 novembre del 2018 dall’allora capo politico Di Maio ai membri del Comitato di garanzia: «In qualità di capo politico propongo che lo stesso criterio per l’accesso al voto degli iscritti applicato alle votazioni e alle consultazioni su Rousseau, venga esteso anche per le votazioni che hanno come oggetto la convocazione dell’Assemblea degli iscritti. Potranno quindi – scriveva Di Maio – prendere parte a tutte le future convocazioni dell’Assemblea, gli iscritti da almeno sei mesi con documento certificato».  L’incartamento includerebbe anche la risposta di Vito Crimi col «parere favorevole» a nome del Comitato di garanzia.

Questo scambio, dicono dal M5s, consentirebbe di sanare l’irregolarità presunta del voto che viene contestata dal tribunale di Napoli a causa, appunto della esclusione di 80 mila su circa 170mila iscritti. Borré è pronto a rispondere al fuoco. «A mio sommesso avviso, e parlo ovviamente da difensore di parte – dice al Riformista Borré – anche a non considerare le innumerevoli preclusioni processuali, la questione del mancato raggiungimento del quorum della partecipazione della maggioranza assoluta degli iscritti su cui si fonda l’ordinanza cautelare del Collegio, risulta insuperabile anche perché non contestabile e, a ben leggere, non contestata. Così come il dato dell’inesistenza di un regolamento adottato su istanza del Comitato direttivo». L’avvocato degli attivisti M5S di Napoli si fregava le mani, alla vigilia dell’udienza convocata oggi dai giudici partenopei per discutere l’istanza presentata dai legali del Movimento. I vertici del partito chiedono la revoca della sospensione del nuovo statuto e della successiva elezione di Giuseppe Conte come leader. Le motivazioni con cui Borré si oppone al ricorso – che segnala essere del tutto irricevibile, «infondato e temerario» – sono numerose. Nelle 34 pagine in cui si articola il controricorso vengono sollevati 17 motivi di inammissibilità dell’istanza di Giuseppe Conte.

La Camera di Consiglio è convocata per domani dalle 12,30 ma non si avranno notizie a breve, c’è da scommetterci: saranno necessari diversi giorni prima che sia resa nota la decisione. «La mia corposa documentazione contiene precisi e circostanziati riferimenti giuridici. Credo che i giudici si riserveranno alcuni giorni prima di esprimersi», ha chiosato Borré. Nella premessa, il documento fa subito muro: «Si eccepisce che essa è inammissibile sotto una pluralità di profili e manifestamente temeraria, nonché comunque destituita di fondamento in quanto concernente questione diversa da quella ritenuta assorbente dal Collegio (e coperta dal giudicato cautelare) per la sospensione dell’efficacia delle delibere». E quanto alla singolare circostanza del regolamento tardivamente rinvenuto da Crimi (“me ne ero dimenticato, ho tante carte”, si era poi giustificato) le motivazioni che presuppongono il rigetto sono implacabili.

Borré cita a memoria anche il commentario del codice civile a firma di Consolo: «Ove un fatto sia rilevante sia per la domanda di revoca che per quella di merito, ma in ordine alla quale sia già scattata la preclusione ex art. 183 c.p.c., deve ritenersi che la parte sia ormai decaduta dalla possibilità di far valere tali circostanze». D’altronde, si accanisce Borré: «Quale situazione di obnubilamento generale ha impedito all’associazione nel corso di ben sette mesi (decorsi dall’instaurazione del contraddittorio alla pronuncia dell’ordinanza cautelare) di essere a conoscenza dell’esistenza del proprio “regolamento”, che per di più era citato nell’avviso di convocazione del 17 luglio 2021, solo dopo la soccombenza nel reclamo cautelare?» Insomma, di cavillo in brocardo, il percorso di guerra del ricorso dei contiani sembra avere un destino segnato. Tanto che Giuseppe Conte confida a chi gli sta intorno di iniziare a pensare a un piano B. Una rifondazione del Movimento con nuovo nome e simbolo, soluzione che però inficerebbe di fatto la partecipazione alle ormai imminenti elezioni amministrative.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.