Il redde rationem è stato teso. Racconta chi era presente all’incontro tra Grillo e Di Maio della mattinata e quello con Conte ieri sera che mai si era visto – e sentito – Beppe Grillo fuori dai gangheri come in questa occasione. La delusione verso Giuseppe Conte non si può più nascondere. Se il fallimento come aggregatore politico delle diverse anime interne è evidente a tutti, altrettanto cocente è la disillusione per il mancato raggiungimento degli obiettivi minimi che si erano dati: il due per mille che doveva dare sostenibilità all’organizzazione politica, l’avvio dei comitati tematici, la famigerata scuola di formazione interna. Niente.

Non si è visto niente, solo piccole polemiche personali e magniloquenti casalinate sui social. Ma intanto, al chiuso dell’hotel, si tratta. “Stanno cercando una soluzione inattaccabile, Grillo cerca di fare ragionare Conte sulla necessità di non fare un altro sbaglio, una fuga in avanti verso il baratro”, fa filtrare uno dei presenti. Nel frattempo Virginia Raggi è stata chiusa per tutto il pomeriggio nello studio del notaio ufficiale del Movimento, Luca Amato. Tra le ipotesi in campo allo studio dei legali e dei piani alti del Movimento 5 Stelle quella al momento più accreditata prevedrebbe la nomina – da parte dello stesso Tribunale- di un curatore speciale: lo stesso Beppe Grillo, garante del Movimento. Oppure non attendere il Tribunale e fare in modo che Grillo, come è già nelle sue facoltà, indica immediatamente le votazioni del comitato di garanzia, composto da tre membri non eletti, secondo lo statuto rientrato in vigore a seguito della pronuncia del Tribunale partenopeo.

Uno dei nomi che rimbalza con forza in queste ore è quello di Pietro Dettori, volto storico del Movimento ed ex socio di Rousseau, di fatto mai eletto. Un reggente provvisorio che però rappresenta una incognita per tutti. Mentre i Cinque Stelle si confrontano, nel Pd si guarda con insofferenza a quanto accade in casa dell’alleato. La linea del Nazareno resta quella della “non ingerenza” rispetto alle vicende di altri partiti, a partire dal caos che sta squassando i 5 Stelle. Tuttavia tra i dem inizia ad aprirsi il dibattito sul fronte alleanze. Lo fa il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che invita il Pd a “guardare al centro” cercando di “coinvolgere anche i riformisti di centrodestra, quindi Forza Italia” vista “l’estrema fragilità” del M5S con cui “è utile che il dialogo continui, ma è evidente che questo schema non può bastare”.

E Gori si spinge ancora oltre immaginando una maggioranza Ursula con Mario Draghi a palazzo Chigi dopo le politiche 2023. Dal Nazareno si fa sapere che il nodo alleanze, e in particolare il caso M5S, non è stato oggi sul tavolo della segretaria – riunita da Letta – che è stata tutta incentrata sul caro bollette e i rischi per la ripresa. Il tema sarebbe stato appena sfiorato in apertura di riunione. Con un ragionamento più generale sulla frammentazione degli altri partiti, “sui quali non è opportuno entrare”, di fronte al quale il “compito del Pd è rafforzare il proprio profilo identitario e anche l’orizzonte di un campo progressista” in cui vengono annoverati anche i 5 Stelle. E non solo. Lo spiega la capogruppo al Senato, Simona Malpezzi.

“Noi siamo per il rafforzamento del campo largo: ci rivolgiamo a tutte le forze – anche a quelle al centro – che si riconoscono in un campo valoriale e politico alternativo a quello della destra perché riteniamo che gli avversari siano dall’altra parte”. Malpezzi si riferisce a quel campo di forze che hanno lavorato insieme durante l’elezione del Colle: “Ricordo che le forze che potrebbero costituire questo campo -aggiunge Malpezzi- hanno lavorato molto bene insieme durante l’elezione del Presidente della Repubblica, mantenendo un fronte saldo e compatto”. Anche Italia Viva è stata tra questi e pure Forza Italia nella fase finale. E’ stato lo stesso Letta a riferire come la “svolta notturna” nelle interlocuzioni con gli azzurri (il giorno precedente alla elezione di Sergio Mattarella) sia stata determinante per sbloccare la situazione. Intanto, l’uscita di Gori raccoglie favorevoli e contrari, dentro e fuori il Pd. C’è il senatore Andrea Marcucci: “Condivido l’analisi del sindaco di Bergamo, Giorgio Gori. Il Pd deve puntare ad un’alleanza europeista e ambientalista con i riformisti aperta a Forza Italia. In questa prospettiva, dopo il ‘23, il miglior presidente del consiglio sarebbe Mario Draghi, per completare il suo lavoro”.

E poi Carlo Calenda che sulla coalizione dei riformisti dice: “Lo sosteniamo da tempo. Ma ciò si determinerà solo se le forze riformiste avranno il coraggio di andarsi a riprendere il consenso sul territorio. La scelta di andare avanti con questa linea di governo deve essere fatta dai cittadini, abbandonando populismi e sovranismi”. Mentre da sinistra, Nico Stumpo di Articolo Uno parla di un “campo largo che tenga dentro anche altre soggettività che al momento non sono al governo, come Verdi o Sinistra Italiana con i quali Enrico Letta dialoga. Ma non escludo anche altre forze geometricamente dette centriste, che dentro una coalizione hanno la necessità di trovare un luogo di costruzione comune”.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.