Incontriamo Lorenzo Borré al Riformista. L’avvocato è balzato agli onori delle cronache per aver vinto il ricorso che “decapita”, come ha detto lui stesso, il Movimento. Ponendo probabilmente fine all’ascesa di Giuseppe Conte.

Cosa sta avvenendo dopo l’accoglimento del suo ricorso?
Sono state riconosciute le ragioni e la fondatezza del nostro esposto. Il Movimento è stato tratto in inganno, ha adottato le modifiche statutarie in violazione delle prescrizioni. E non ha consentito la partecipazione di tutti gli iscritti. L’esclusione della platea di circa un terzo degli aventi diritto ha inficiato la validità dell’intera consultazione. In più questo statuto prevedeva la possibilità di elezione di un unico soggetto, e questo non può essere.

Conte non poteva correre da solo, per una elezione a senso unico?
Il concetto di concorso alla carica deve esistere sempre. Soprattutto quando dici di essere il più amato dagli italiani, non puoi sottrarti al confronto elettorale, a partire da quello interno. Vale nei partiti come nelle associazioni: uno statuto che preveda la candidatura unica e l’elezione plebiscitaria di un unico nome non può esistere, in democrazia.

La sospensiva è temporanea?
È una sospensiva stabile, che produce effetti duraturi. Il collegio ha ritenuto che fosse a beneficio dell’associazione deliberare la necessità di un riassetto, perché in presenza di vizi formali importanti. Ma se il Movimento viene messo in condizione di ripensare lo statuto e la sua dirigenza, vengono anche rivelati i caratteri non legittimi della leadership di Conte.

Conte che oggi è detronizzato.
Di Conte si potrebbero dire molte cose. Mi limito a quelle che contestiamo nel ricorso: si è iscritto al M5s in un periodo in cui le iscrizioni erano chiuse, dunque è anche dubbio che sia davvero iscritto. Adesso Grillo può esercitare nel pieno la sua funzione di garante. E deve tornare ad esercitare le sue prerogative, se vuole riavviare una nuova vita del Movimento.

Cosa succede adesso?
Il comitato di garanzia rimetterà in piedi la macchina. E si tornerà a votare, credo su Rousseau. Vedo bene Virginia Raggi e Alessandro Di Battista, hanno le mani libere e godono di grande favore tra gli attivisti, può essere il loro momento.

La democrazia interna conta?
Eccome. È il motore delle organizzazioni politiche. Nel M5S è stata predicata ma non attuata. Alla base degli attivisti non è mai stata data un’autorizzazione alla partecipazione. Decidono i vertici, gli iscritti ratificano.

La parola congresso è ancora un tabù.
Accidenti, è impronunciabile. Ma nemmeno il termine assemblea è stato mai digerito. Nello statuto appare con valore di pura facciata.

In conseguenza di un trauma, la vittima fatica a prendere atto della realtà. È il caso di Conte?
Sì, sta reagendo male. Già essere corso dalla Gruber è stata un’imprudenza. Stava andando anche da Vespa, ma Grillo l’ha fermato. Ma non è solo lui. Fa parte del cliché grillino: si nega sempre tutto fino alla fine. Hanno negato tutte le sconfitte nei tribunali, adducendo sempre pretesti dilatori per non mettere in atto i dispositivi.

Questa volta non possono.
No, perché il dispositivo è esecutivo. Conte non può firmare più neanche una lettera da parte del M5s.

In politica i vuoti si riempiono. Se il M5s entra in crisi dove finisce il suo voto di protesta?
Io vedo Italexit di Gianluigi Paragone come destinatario più prossimo. Sarà sicuramente lui a beneficiare del terremoto che sta per arrivare in quell’area. Al netto di chi, più moderato, andrà con il Pd o disperso in tutti gli altri partiti.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.