Subito dopo la notizia che la Corte Costituzionale aveva detto sì all’ammissibilità di cinque referendum sulla giustizia, avevamo scritto sul Riformista un appello al Pd. L’invito era chiaro: abbandonare la cultura giustizialista e fare insieme al fronte garantista una battaglia e una scommessa per il sì da parte dei cittadini. Era un appello che riguardava la campagna referendaria e più in generale il Dna della sinistra: una sinistra che senza il garantismo, senza la cultura dello Stato di diritto è monca, senza prospettive, senza una strategia. Rinuncia alla sua indipendenza. E senza indipendenza non si fa politica.

La risposta di Enrico Letta, durante la direzione dem di ieri, è stata altrettanto netta, inequivocabile: un No deciso ai referendum, in particolare ai due che più di tutti costruiscono uno spartiacque storico e ideale tra giustizialismo e garantismo: il quesito che abrogherebbe la legge Severino e quello contro la custodia cautelare e per il ritorno alla Costituzione. “Noi pensiamo che le riforme più importanti – ha detto ieri ai suoi Letta – sono quelle che sono in Parlamento, sia quelle approvate già sia quelle in discussione. Dei cinque referendum tre hanno materie che stanno dentro la discussione parlamentare e noi pensiamo che le risposte arriveranno là, sugli altri due quesiti non riesco a non esprimere la netta contrarietà: quello sulla Severino e quello sulla custodia cautelare. Si possono fare miglioramenti ma non stravolgendo tutto”. Non è un caso che nella stessa direzione Letta abbia ribadito il rapporto con i Cinque stelle, un rapporto che a detta del segretario dem “durerà”. Un rapporto che non è tanto e solo legato alle prossime elezioni, ma, come dimostra la contrarietà ai referendum, è una vera e propria sudditanza alla cultura manettara dei Cinque stelle. Il movimento grillino, ormai diviso al suo interno, privo di consenso all’esterno ha però vinto, conquistando l’agenda del principale partito della sinistra.

Eppure l’occasione era (è?) importante, perché attraverso la campagna referendaria è possibile sovvertire la cultura politica degli ultimi decenni, da Mani pulite in poi. È possibile lanciare una sfida nel Paese contro la convinzione, che ha conquistato destra e sinistra, che solo attraverso la galera e la stortura dello Stato di diritto si possa governare e amministrare il Paese. La storia dice il contrario. Lo dimostrano anche le macerie in cui si sono ridotti i partiti, lo dimostra la crisi della democrazia che stiamo drammaticamente attraversando senza vedere una via d’uscita. Le ricadute nefaste di un decennio di populismo avrebbero dovuto spingere la sinistra a ripensare le proprie categorie. A partire da quella convinzione che ha infestato il suo Dna: rinunciare all’idea del cambiamento, alla possibilità di costruire un mondo migliore, affidando tutto alla fede nella punizione, nella galera.

Non si capisce altrimenti la contrarietà al referendum sulla custodia cautelare, cioè a quel quesito che impedirebbe di mandare in prigione persone che per la Costituzione, quella Costituzione che il Pd è sempre pronto a sbandierare, sono innocenti e come tali andrebbero trattate e che nella maggior parte dei casi sono gli ultimi, i più deboli, persone che la società considera neglette e che la sinistra dovrebbe avere particolarmente a cuore. Non si capisce neanche il perché del no a una abolizione della legge Severino, una legge fondata sull’idea grillina che tutti i politici rubino, che tutti coloro che fanno politica sono corrotti. Senza rimettere al centro il valore della politica e della Costituzione non si va da nessuna parte.

In questi mesi, davanti alla messa in scena grottesca delle spaccature grilline, il Pd ha avuto l’occasione di mettere fine all’alleanza con il movimento populista e giustizialista. Ieri, con le affermazioni di Letta, stiamo scoprendo che è troppo tardi, che l’intreccio è ormai diventato strutturale, perché i temi grillini hanno vampirizzato i dem. C’è anche un altro motivo, più banale, che forse spinge il Pd a rifiutare di fare propria la campagna referendaria. La paura di essere sconfitti, la paura che i cittadini e le cittadine stiano da un’altra parte. Paura comprensibile, visto che da decenni l’opinione pubblica è stata spostata su posizioni forcaiole. Ma proprio la consapevolezza di come il senso comune abbia introiettato la cultura giustizialista dovrebbe rendere ancora più necessaria per la sinistra la sfida referendaria. Serve coraggio. E serve una visione. Coraggio e visione che ieri sono mancati a Enrico Letta.

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