La Thailandia è la seconda nazione al mondo per numero di casi accertati di Coronavirus. A Bangkok ne sono stati riscontrati 19, numero che annovera la città tra i focolai del virus. Probabilmente per il forte legame che storicamente lega la città alla Cina con una vasta presenza di cinesi in città. C’è una Chinatown brulicante di persone thailandesi, cinesi e turisti che curiosi invadono le colorate strade del pittoresco quartiere.

Per gli asiatici l’uso della mascherina non è una novità: dopo la seconda Guerra Mondiale è diventata abitudine indossarla principalmente per un motivo di educazione. C’è chi la indossa perchè magari ha il raffreddore e non vuole passarlo a chi gli sta intorno e chi invece non vuole rischiare di prenderlo. A questo si aggiunge la forte problematica dello smog che incentiva l’uso di protezioni. Ma nei giorni del panico da coronavirus la mascherina è d’obbligo.

Nonostante il panico diffuso a Bangkok la vita scorre nella normalità ma la paura si tocca con mano. basta entrare nella metropolitana, ancora nuovissima, per notare il disagio tra le persone soprattutto in momenti molto affollati. Tutti indossano la mascherina e, una volta usciti dalle carrozze, il personale offre ai passeggeri il disinfettante per le mani. Al primo colpo di tosse parte il silenzioso scambio di sguardi preoccupati. Il personale di metro, treni e luoghi pubblici hanno incentivato le misure igieniche, pulendo tutto meticolosamente al termine di ogni tratta.

Poi ci sono i controlli perenni delle forze dell’ordine che controllano la temperatura ai passanti con un termometro a distanza. Anche nei templi e nei luoghi di preghiera le persone non rinunciano alla mascherina. Non lo fanno nemmeno i monaci buddisti assorti in preghiera. E nemmeno i tanti turisti occidentali che affollano la città. Tutti, ma proprio tutti si proteggono con la mascherina, a volte anche con maschere simili a quelle antigas, e non la tolgono nemmeno per fare le fotografie davanti ai più bei monumenti della città.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.