Un’altra arma contro la pandemia da coronavirus: il vaccino Novavax. La Commissione Europea ha annunciato un accordo con l’azienda farmaceutica statunitense per l’acquisto fino a 200 milioni di dosi del siero. Dal quarto trimestre del 2021, e quindi a partire da ottobre in poi, e per i prossimi due anni. L’intesa diventerà operativa appena il preparato sarò approvato dagli organi regolatori. Se l’Agenzia Europea del Farmaco (Ema) e l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) dovessero approvarlo diventerebbe il quinto vaccino abile e arruolabile alla causa dopo quelli Pfizer-BioNTech, Moderna, AstraZeneca e Johnson&Johnson.

Il nome del vaccino ufficiale è NVX-CoV2373 ed è prodotto in collaborazione con la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (Cepi). È un vaccino a doppia somministrazione, quindi con il richiamo, a 21 giorni di distanza. Secondo il trial clinico di fase 3 la sua efficacia è paragonabile a quelli a mRna Pfizer e Moderna. Lo studio conclusivo condotto nel Regno Unito e pubblicato dal New England Journal of Medecine conferma un’efficacia del 96,4% contro il ceppo originario di covid-19, dell’86,3% sulla variante Alfa e dell’89,7% in generale. Secondo un altro studio condotto tra Stati Uniti e Messico ha mostrato un’efficacia del 100% contro la malattia moderata e grave e del 90,4% di efficacia totale. Sulla variante Beta, oppure “sudafricana” l’efficacia sarebbe del 60%.

Novavax va conservato a 2-8° in frigo. Non è escluso che possa essere utilizzato per le terze dosi da somministrare a chi ha già completato il ciclo – strategia della quale si parla sempre più insistentemente ma che deve essere ancora confermata. L’approvazione potrebbe arrivare dopo l’estate.

Quello che più cambia rispetto agli altri vaccini è che si tratta di un preparato a proteine ricombinanti che opera infatti diversamente da quelli a vettore virale o a Rna Messaggero. “NVX-CoV2373 introduce nell’organismo la proteina Spike messa a punto in laboratorio e mixata con un adiuvante a base di saponina che serve per stimolare il sistema immunitario innato. Quest’ultimo aiuta a sua volta l’innesco della ‘risposta adattativa’, ovvero i linfociti T e B, e di conseguenza la produzione di anticorpi diretti contro il coronavirus”, ha spiegato Sergio Abrignani, professore ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di Genetica molecolare Romeo ed Enrica Invernizzi, oltre che membro del Comitato tecnico-scientifico per l’emergenza Covid, a Il Corriere della Sera.

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Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.