Il giallo delle misteriose 48 ore passate dal procuratore generale americano Barr a Roma, nel ferragosto 2019, si infittisce. I suoi incontri con il capo del Dis Gennaro Vecchione, uomo di fiducia dell’allora premier Giuseppe Conte, sono stati rappresentati molto genericamente nel corso delle audizioni che Conte ha reso al Copasir. E in buona parte, come sappiamo oggi, taciuti. L’agenda minuta di quella due-giorni, liberata dalle autorità americane dal sigillo della riservatezza, restituisce una serie di informazioni che Conte ha tenuto ben nascoste. Una serie di finestre temporali “scoperte”, in cui il massimo rappresentante della giustizia americana – che era formalmente emissario di Donald Trump – una volta a Roma sarebbe uscito dai radar della missione concordata.

E veniamo a sapere di una sontuosa cena nel ristorante romano Casa Coppelle in cui barbe finte, staff del general attorney e la fonte più vicina al presidente Conte, Gennaro Vecchione, si sono potuti trovare per condividere tra un bicchiere e l’altro, più di qualche confidenza. Ha poi dell’incredibile venire a sapere come tutte le attenzioni e i servigi resi all’amministrazione americana fossero stati concessi in virtù dell’affannosa ricerca delle prove di un complotto internazionale voluto da Matteo Renzi ai danni dell’eleggibilità di Trump alla Casa Bianca. In questo contesto dai troppi segreti affondano almeno tre dei casi di cui Il Riformista ha scritto in questi anni. Tutti misteri romani o comunque avvenuti nella Capitale. La misteriosa scomparsa del professor Mifsud, per iniziare. “Una spia maltese utilizzato da servizi di diversi paesi”, secondo il ritratto che per noi ne aveva fatto un uomo di fiducia di Trump come George Papadopoulos.

Tutti i contorni del Russiagate, il canale di connessione sotterraneo tra Putin e Trump che sarebbe passato proprio per Roma. L’incontro all’Autogrill Renzi-Marco Mancini, con l’insoluto risvolto televisivo: su come e perché quel lungo filmato (“ricevuto con un video anonimo in redazione”, aveva detto Ranucci) sia stato raccolto e raccontato da Report, il mistero rimane. È invece certo che Gennaro Vecchione frequenta Giuseppe Conte da anni: da ben prima che l’avvocato sentisse pulsare la sua vena politica. I legami del generale Vecchione con un certo mondo della destra sovranista a stelle e strisce li abbiamo messi nero su bianco: quando Dignitas Humanae Institute, presieduto dal cardinale dell’ultradestra religiosa Raymond Leo Burke, promuove l’arrivo in Italia per un ciclo di incontri dello spin doctor del trumpismo e del sovranismo americano, Steve Bannon, può contare sulle relazioni che il cardinal Burke ha intessuto. E se il Dignitas Humanae Institute guarda alle grandi questioni internazionali, il porporato può operare con la politica italiana grazie ad una serie di realtà. È presidente d’onore della Fondazione Sciacca, nel cui comitato tecnico-scientifico siedono ben due generali della Guardia di Finanza: Gennaro Vecchione e Angelo Giustini. Una Fondazione umanitaria e caritatevole, viene detto sul suo sito.

Ma che vede una serie di correlazioni curiose con le istituzioni. A capo dell’ufficio stampa, per esempio, c’è un militare che opera anche nel gabinetto del Ministro della Difesa. Quando c’era Trump da una sponda dell’Atlantico e Conte dall’altra, se gli amici americani chiamavano, qualcuno nel governo italiano rispondeva subito. E infatti, con Conte al governo e Vecchione a capo del Dis, a Bannon viene “gratuitamente prestata” la Certosa di Trisulti, in provincia di Frosinone. Sono i mesi in cui Conte traballa. La crisi del Papeete. Il 27 agosto arriva un segnale chiaro, da Washington: “Spero che Giuseppi Conte rimanga Presidente del Consiglio”, twitta Trump. Roma torna incandescente. Oligarchi russi, agenti Cia, predicatori sovranisti la cingono d’assedio. Chi guarda a Trisulti, come l’ultradestra, sogna di inaugurarvi l’“università del sovranismo”. Un progetto tanto ambizioso da non reggere alla fine del governo Conte I. Arriva l’alleato Dem e la Certosa verrà restituita alla Curia, auspice il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, e l’incidente chiuso in fretta e furia. Anche perché rimane un’altra accademia sulla quale i sovranisti sembravano poter contare.
Nell’ottobre 2017 scompare a Roma, uscendo da una sua lezione, l’enigmatico professor Joseph Mifsud. La lezione si era tenuta alla Link Campus University, fondata anni da dall’ex ministro Enzo Scotti. Una istituzione accademica molto particolare, sulla quale sono stati versati fiumi di inchiostro, diverse interrogazioni parlamentari e perfino un dossier dell’Aisi.

Una università dalle molte vite. Dopo due cambi di sede e una serie di difficoltà economiche, nel 2016 la Link poté compiere un “grande salto”, passando nell’attuale sede a poche centinaia di metri dalla sede diplomatica russa di Villa Abamelik, su via Aurelia. Mifsud avrebbe avuto un ruolo centrale nel reperimento di sponsor che hanno permesso alla Link di fare un salto di qualità. Il momento decisivo si è avuto con la partnership con l’università moscovita Lomonosov, autentico vivaio dell’intellighenzia putiniana. L’accordo viene firmato alla fine del 2016, presente Mifsud, e poche settimane dopo nella nuova sede della Link un ampio locale viene messo a disposizione della Lomonosov. Una sala in cui «era sempre presente una ragazza russa che faceva funzioni di segretaria di Mifsud» e del suo socio svizzero, Roh. In quel locale dedicato all’università moscovita si trovava spesso anche un avvocato, ex-ufficiale dell’esercito russo in Sud America – Bolivia, Argentina, Colombia e Brasile – che il primo dicembre 2016 ha tenuto alla Link una conferenza presentata da Mifsud e alla presenza di Scotti e Roh: si tratta di Aleksey Aleksandrovich Klishin. L’uomo d’affari figura tra i soggetti colpiti dalle sanzioni già nel 2017 proprio per la prossimità con Putin.

E’ anche lui un tassello nel mosaico dei misteri in cui – lo Zar al Cremlino, Trump alla Casa Bianca – agenti russi e agenti americani si sono scambiati informazioni e favori. O forse solo promesse e parvenze. Stando alla ricostruzione ufficiale, Mifsud confidò in un incontro che si tenne nell’aprile 2016 a George Papadopoulos, consigliere della campagna di Trump, di aver appreso che il governo russo possedeva “materiale compromettente” su Hillary Clinton “in forma di e-mail”. A quel punto l’ex consulente del presidente avrebbe ripetuto tali informazioni ad altri. In breve, le autorità americane lo vennero a sapere. Il 31 luglio 2016 partirono le indagini dell’Fbi sui presunti collegamenti fra Donald Trump e la Russia. L’ex direttore dell’FBI James Comey si era affrettato a dichiarare che Mifsud è “un agente russo”. Ma il Procuratore speciale Mueller non lo ha mai definito tale nel suo rapporto. Inoltre, Mueller non è riuscito a incriminarlo per nessuna accusa, nonostante abbia affermato che Mifsud avesse mentito agli agenti dell’FBI in un interrogatorio del febbraio 2017.

Ad accentuare il mistero, ecco che il protagonista delle rivelazioni di cui oggi sappiamo, l’ex Attorney General Barr e il Procuratore John Durham avrebbero ottenuto i telefoni cellulari di Mifsud proprio dalla nostra intelligence, durante i due colloqui in Italia con i vertici dei nostri servizi segreti in quelle misteriose 48 ore dell’agosto 2019. C’è un documento che è finito addirittura su Twitter: il file Handling – Agent 1 Redacted, verbale dell’interrogatorio del comitato giustizia del Senato Usa 3 marzo 2020 agli agenti dell’Fbi. Come nota l’esperto di intelligence Chris Blackburn, sfogliando il verbale, “l’Fbi sapeva che Joseph Mifsud stesse lavorando con figure-formatori dell’intelligence italiana presso la Link Campus di Roma. Perché anche l’Fbi lavorava lì. Ovviamente Mueller non voleva includerlo nel suo rapporto”. Dopo che Mifsud fu identificato come l’uomo che avrebbe parlato con Papadopoulos, infatti, la squadra di Mueller lo descrisse come persona con importanti contatti russi. Questa descrizione del docente maltese ignorava però i legami più atlantici dello stesso docente, inclusi Cia, Fbi e servizi di intelligence britannici. Attività che l’intensa correlazione stabilita tra il generale Vecchione deve aver contribuito a mettere in luce.

Il ministro della giustizia Usa cercava di capire, al di là del ruolo di Mifsud nella vicenda del Russiagate, quale fosse stato davvero il compito dei servizi italiani. Probabilmente sapeva che lo stesso generale Vecchione ha potuto, a dispetto della scarsa esperienza in materia di intelligence, frequentare le aule della Link Campus. In quel crocevia unico al mondo che è Roma, si dice cercasse anche altri particolari. Che portavano a Kiev: uno dei più probabili sfidanti di Trump, Joe Biden, aveva il figlio Hunter dal maggio 2014 nel cda della potente Burisma Holding, leader nello sfruttamento di gas e petrolio ucraino. Una girandola di correlazioni su cui probabilmente più di una indagine era parallelamente in corso. Del caso sappiamo ancora poco. Sappiamo che Conte ha omesso molti, troppi particolari. Sappiamo che a monte c’è stata una resa dei conti tra due fazioni rivali della Cia, e che nel gennaio 2017 la cellula romana della fazione sconfitta – a Washington, dalla politica – ha perso uno dei suoi elementi operativi, “bruciato” e dato in pasto a una inchiesta giudiziaria che lo ha messo fuori dall’operatività. Sappiamo che questa faida ha avuto un riverbero anche sui “nostri”, e che frizioni importanti vi sono state ai vertici di Aisi e Aise.

L’intervento di Mario Draghi che si affrettò a presidiare la casella del Dis con Elisabetta Belloni non fu affatto casuale. Si ricordi la stizzita reazione di Conte e di tutti i Cinque Stelle. Non sembra essere stato neanche per caso – a rileggerlo con le notizie di oggi – se proprio Giuseppe Conte provò a convincere tanto animatamente Pd e Lega (le sue due ali, sinistra e destra) di votare Belloni quale Presidente della Repubblica, per riaccreditarsi come kingmaker degli equilibri di vertice dei servizi e tornare in quella stanza dei bottoni dalla quale proprio Matteo Renzi lo ha messo alla porta.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.