Palazzo Chigi è diventato Palazzo Conte, negli ultimi mesi del suo secondo governo. E il contismo, forte dell’abbraccio tra Pd, M5s e Leu – sacra alleanza che portava in dote anche la pax mediatica – ha sottovalutato l’attività di controllo che il premier ha preteso di esercitare sui servizi di intelligence. La nomina nel dicembre 2018 del prefetto Gennaro Vecchione, amico personale di Giuseppe Conte, a capo del Dipartimento delle informazioni per la Sicurezza, e quella dell’ambasciatore Pietro Benassi, già consigliere diplomatico di Conte, a Sottosegretario di Stato con delega ai servizi di intelligence hanno fatto scattare diverse attenzioni. A partire dai piani alti.

Anche perché si tratta di una serie di prime volte, di nomine non concordate con gli alleati, e di personalità che al di là dei curricula, risultano quantomeno atipiche per occupare quelle caselle. Il Pd aveva fatto notare, per la verità senza battere troppo i pugni sul tavolo, che la delega ai servizi andava assegnata diversamente. Matteo Renzi aveva puntato il dito, parlando in Senato prima del ritiro della delegazione Iv al governo, contro la tentazione dell’ex premier Conte di arrogare a sé tutti i poteri.

«Non lo abbiamo consentito a Salvini, dobbiamo dire che è sbagliato anche adesso», aveva tuonato. A quali pieni poteri si riferiva, esattamente? «Quella di Conte verso l’intelligence era una ossessione. La mia idea è che Conte volesse presidiare personalmente il comparto intelligence, facendo nomine come se si trattasse di una partecipata statale, come se i servizi fossero un’azienda pubblica come un’altra», ci dice Carlo Bonini, il giornalista di Repubblica che per primo ha alzato il velo sull’inusitata attività di Palazzo Chigi in quest’ambito. Il presidente del Consiglio uscente ha tentato di porre i servizi segreti sotto un particolare controllo, scegliendo non due figure note per l’esperienza specifica, ma personalità che, provenendo da tutt’altro, godevano della sua stretta fiducia personale. Il generale Vecchione è della Guardia di Finanza.

Il neo sottosegretario Benassi è un ambasciatore di carriera alla Farnesina. «La finalità era quella di avere accesso alle informazioni classificate – prosegue Bonini – perché chi le possiede, si mette in una posizione di favore». Del sottosegretario Benassi si è notato lo zelo, la particolare sollecitudine negli incontri, la gran mole di telefonate, le richieste di documenti, di notizie. Un lavoro di gran lena svolto in controtempo. Proprio a ridosso delle dimissioni di Conte e a cavallo della missione esplorativa di Fico, culminata nell’incarico a Draghi. Dunque del tutto a prescindere dalla continuità in quella funzione.

Raffaele Volpi, deputato leghista che presiede dall’ottobre 2019 il Copasir, ha incontrato Benassi una sola volta. «Per dovere istituzionale, due settimane fa», precisa mettendo le mani avanti. «È l’attuale delegato del governo ai servizi segreti, era doveroso incontrarlo in audizione al Copasir», dice senza entrare nei dettagli. «Il settore dell’intelligence – prosegue Volpi – è molto delicato e va protetto. Per sua natura è un settore che non richiede pubblicità, e per ciò stesso non riceve riconoscenza. Cosa avesse in mente il presidente del Consiglio non lo so», precisa. «Con Palazzo Chigi abbiamo lavorato con lealtà istituzionale, non chiedetemi da quali intendimenti sia stata mossa l’attenzione costante di Conte; abbiamo operato in due palazzi diversi, lui a capo della maggioranza e io dal lato dell’opposizione», aggiunge il presidente Copasir.

Anche Volpi ha lavorato senza battere la fiacca. E si è occupato spesso di tecnologia, come nel caso del 5G, e di cybersecurity. «Altra ossessione di Giuseppe Conte, che voleva dare una linea di finanziamento del Recovery fund all’osservatorio Cybersecurity che aveva in animo di lanciare», ricorda ancora Bonini. Il Copasir stava iniziando le indagini sull’episodio del profilo Facebook della presidenza del Consiglio che, dopo aver pubblicato un invito al linciaggio mediatico di Matteo Renzi, è stata dichiarata “hackerata” dai suoi responsabili. Facebook Italia ha smentito: gli accessi sono da Palazzo Chigi, le password non risultano violate.

«Avevamo in agenda le audizioni dei tecnici, ma la crisi di governo ha di fatto sospeso le attività, e non so come proseguirà la vicenda», dice Volpi con un’alzata di spalle. Una idea che si è fatto? «Penso che siano cambiati i tempi e i modi della comunicazione politica. Credo ci siano degli elementi istituzionali e di sobrietà che non sono più di moda. E probabilmente se si formerà il governo Draghi, cambierà nettamente la comunicazione».

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.