La genesi di quello che si definisce “Lodo Moro” è complessa. L’accordo tra Italia e organizzazioni palestinesi ha radici internazionali e sino a un certo momento non differisce da quelli che avevano sottoscritto anche molti altri Paesi europei. A partire dalla Germania che del “lodo” è stata incubatrice. Il 15 dicembre 1972, dal Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale degli Affari Politici, Uff. XIII – Onu, viene inviato un telespresso ad alcune rappresentanze italiane, di cui vengono omessi gli indirizzi, contenente gli estremi di un accordo siglato tra il Governo della R.F.T. e i guerriglieri palestinesi.

Lo scambio prevede il versamento di due milioni di sterline in cambio dell’impegno arabo a non compiere ulteriori attentati ai danni della compagnia aerea Lufthansa, parte anch’essa dell’accordo. In un articolo dal titolo “Viaggio alle origini della strage di Bologna. Non solo Moro: i lodi europei per salvarsi dal terrorismo palestinese”, scritto con Gabriele Paradisi e pubblicato su Reggio Report, abbiamo accennato all’avvio di trattative tra il cancelliere Willy Brandt, in accordo con il ministro degli Esteri Walter Scheel, e i terroristi, dopo il dirottamento di un areo della compagna tedesca, per chiedere il rilascio dei tre palestinesi sopravvissuti al massacro di Monaco di Baviera, attuato durante le Olimpiadi nel settembre del 72 e che era costato la vita a undici atleti israeliani, a un poliziotto tedesco e a cinque terroristi.

L’elargizione dei fondi sarebbe servita alle organizzazioni palestinesi per rinforzare le loro basi in Europa con l’arrivo di nuovi guerriglieri, ad ampliare mediante propaganda l’area dei simpatizzanti in Occidente, e infine ad acquistare materiale bellico, di provenienza principalmente cecoslovacca, mediante emissari francesi e americani di origine araba. Continuando nella lettura del documento, emerge come il passaggio dei nuovi affiliati sarebbe venuto attraverso l’Italia, mediante il rilascio di regolari borse di studio presso le diverse università, e che gli stessi “studenti” sarebbero stati muniti di passaporti algerini, libici e di altri paesi arabi.

Un altro accordo, sarebbe stato stretto più avanti nel tempo, nel gennaio 1986, tra il Governo austriaco e il gruppo terroristico di Abu Nidal, per trattare ancora una volta la liberazione di alcuni guerriglieri detenuti nelle carceri austriache, tra i quali uno dei terroristi coinvolto nell’attentato alla Sinagoga di Vienna e nell’uccisone di un Consigliere Comunale viennese. I contatti, in quel caso, erano stati avviati nell’Ambasciata di Damasco. Rapportando i due accordi, quello del 1972 e quello del 1986, emerge in entrambi come fondamentale la liberazione di detenuti palestinesi in carcere nei diversi Paesi. Lo spazio di queste trattative era dunque internazionale e non solo italiano, riguardava la politica estera legata alla sicurezza dei vari Stati coinvolti, non solo quella interna…

Ciò dimostra l’esistenza di diversi livelli di impegno tra gli Stati e le organizzazioni terroristiche, che andavano dagli accordi tra agenti e guerriglieri, per salire poi a un livello istituzionale e in sede Onu, come è riportato anche nel nome dell’Ufficio competente nel 1972.
Questa politica, il cui raggio era ben più vasto del semplice tentativo di evitare attentati nei propri Paesi, si afferma nella Dichiarazione Congiunta del 6 novembre e nel vertice di Copenaghen del 14 dicembre 1973, considerate dall’Italia il primo passaggio in vista di uno sviluppo potenzialmente ricco di possibilità su nodi vitali come la questione del petrolio e la cooperazione per uno sviluppo economico industriale dei Paesi arabi. In questo quadro, proprio l’Italia si impone come Paese guida e “avviatore” del processo di avvicinamento dell’Europa agli Stati arabi. E’ proprio questa scelta strategica che porterà alla liberazione dei cinque terroristi palestinesi, dopo l’attentato all’aeroporto di Fiumicino il 17 dicembre 1973.

Dalla trascrizione di nastro magnetico del colloquio tra l’On. Miceli e il giudice istruttore Mastelloni, custodita tra i documenti desecretati dalla Direttiva Renzi 2014, emergono chiaramente i dettagli dell’operazione, che vide rilasciati subito i primi due attentatori e solo nel febbraio del 1974 gli altri tre. Dalle parole di Miceli, si evince che le intimidazioni volte a ottenere la liberazione dei detenuti arrivavano a Giovannone e a Terzani e che le portava poi a conoscenza dei ministri della Difesa, degli Esteri, degli Interni e del Presidente del Consiglio. Miceli presume anche, non avendone però la certezza, che fosse stata interessata anche la magistratura. I primi 2 terroristi furono liberati subito, senza il pagamento di alcuna cauzione, a differenza degli altri 3 che seguirono. Lasciarono l’Italia su un aereo del SID (così si chiamava allora il servizio segreto italiano) che li condusse a Tripoli passando per Malta, come peraltro è noto.

La scelta di Tripoli, sempre secondo le parole di Miceli, era stata dettata dalla Libia, perché da quella città avrebbero poi facilmente raggiunto il Fronte per la Liberazione della Palestina, in attesa dell’arrivo degli altri tre guerriglieri ancora detenuti in Italia. Il trasporto fu pagato dalla Libia e nella lettera di accompagno si precisava che i due erano stati rilasciati in sede istruttoria per insufficienza di indizi. Il rapporto di Miceli con Giovannone ha inizio dopo il rientro di quest’ultimo dalla Somalia, quando passa ad occuparsi della sicurezza personale dell’On. Moro. E nel documento qui riportato sono precisati nei dettagli i compiti “istituzionali” affidati a Giovannone, diretti alla salvaguardia dell’Italia e dei suoi interessi all’estero, al congelamento delle azioni terroristiche da parte palestinese che implicava un atteggiamento italiano favorevole a sostenere le istanze, nei confronti degli altri Paesi, che come scritto sopra riguardava anche i rapporti in sede Onu.

Lo stesso Giovannone, durante l’interrogatorio avuto con il giudice istruttore Mastelloni, il 20 giugno 1983 negli uffici di Venezia, ribadì il suo ruolo, già a partire dal 1972, quindi prima dell’attentato a Fiumicino, su commissione del ministro degli Esteri e del Sid da cui dipendeva, diretto dall’epoca dallo stesso generale Miceli. Il suo incarico risulta, nei particolari, dal documento allegato all’articolo e indirizzato a tutte le Ambasciate interessate, da parte del Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri, in data 24 luglio 1972. La missione di Giovannone era prendere contatto con qualche responsabile dell’OLP, al fine di evitare operazioni terroristiche in Italia o contro cittadini italiani all’estero. Le minacce, secondo l’opinione personale dell’agente, provenivano dall’organizzazione “Fronte Popolare Comando Generale”, con a capo Ahmed Gibril, estremista palestinese.

L’accordo prevedeva da parte italiana una disponibilità a livello istituzionale e dell’opinione pubblica a recepire le aspirazioni palestinesi di autonomia e di indipendenza, dando luogo a iniziative internazionali in tale direzione. In quegli anni la struttura di Al Fatah, la maggiore componente dell’OLP guidata da Arafat, assommava circa il 65% dei membri dell’organizzazione e dettava la linea politica, con l’avallo del Comitato Esecutivo e del Consiglio Centrale dell’OLP. Accanto si poneva una minoranza estremista, che non condivideva la linea moderata e diplomatica di Arafat. Come specifica Giovannone, si trattava di elementi vicini all’Iraq, al Sud Yemen, alla Libia, talvolta all’Algeria, alla Siria e con probabilità anche alla Russia.

Seguendo l’orientamento dell’On. Moro i palestinesi avrebbe dovuto avere una loro patria, affinchè non si continuasse a considerarli dei rifugiati e per questo erano indispensabili le iniziative internazionali. I documenti presentati nell’articolo, fondamentali per far luce sul retroscena degli eventi di quegli anni, sono custoditi presso l’Archivio Centrale dello Stato e, come da segnatura, rientrano tra quelli desecretati dalla Direttiva Renzi del 2014, come accennato sopra. A questa, nel 2021, è seguita la decisione del Presidente del Consiglio Draghi di ampliare, ulteriormente, il perimetro della trasparenza nella documentazione delle pubbliche amministrazioni, disponendo il versamento anticipato presso lo stesso Archivio di ulteriore documentazione ancora classificata come non liberamente fruibile.

Non tutte le nebbie che avvolgono gli avvenimenti ancora aperti al dibattito storiografico e non solo, sono però state dissipati. Il lavoro del Senatore Marilotti, Presidente della commissione per la Biblioteca e Archivio Storico del Senato, si muove in questa direzione, con una volontà diretta a limitare il segreto nelle pubbliche amministrazioni, affinché gli studiosi o anche il semplice cittadino possano essere maggiormente informati sui passaggi cruciali della Nostra Repubblica.