La strage riuscita del 17 dicembre 1973 a Fiumicino è figlia di un’altra strage, invece fallita. Il 5 settembre il Sid ( cioè i servizi segreti italiani dell’epoca) arrestò in un appartamento di Ostia 5 palestinesi che si apprestavano, secondo la versione ufficiale, a colpire un aereo della El Al con due missili Sam 7 Strela. Su quegli arresti non è mai stata fatta piena chiarezza. Pare certo che a indirizzare i servizi italiani siano stati quelli israeliani. E’ però anche possibile che la notizia dell’arresto sia stata data in ritardo di mesi e che l’obiettivo del commando fosse l’aereo sul quale viaggiava la premier israeliana Golda Meir.

Gli arresti provocarono una vera crisi nelle trattative in corso da un anno tra Stato italiano e Olp, che avevano già portato a una decina di scarcerazioni di terroristi palestinesi e che si sarebbero poi sedimentate in quell’accordo oggi noto come lodo Moro. Gabriele Paradisi ha rintracciato e pubblicato sul sito ReggioReport numerosi appunti e segnalazioni , sempre in relazione alla detenzione dei cinque terroristi arrestati in settembre e all’ultimatum che ne esigeva la liberazione. Già il 17 settembre un appunto del Sid avvertiva che “Le centrali del terrorismo hanno espresso l’intendimento di svolgere prossimamente in Italia speciali operazioni (rappresaglia o ricatto) tendenti a ottenere l’immediata liberazione dei 5 guerriglieri”. Il 12 ottobre nuovo allarme: “La Resistenza Palestinese attenderà fino alla fine di ottobre del corrente anno per la scarcerazione dei 5 giovani; dopo tale termine, permanendo lo stato di detenzione, saranno effettuati atti di rappresaglia e ricatto in Italia e all’estero”.

Il 19 ottobre si svolse presso l’ambasciata italiana un incontro con il responsabile delle Relazioni politiche dell’Olp Said Kamal, nel quale, spiegheranno poi i diplomatici italiani in una lettera al ministero degli Esteri, il palestinese “ha offerto l’impegno formale dell’Olp che nessuna azione dei fedayn si ripeterà in Italia qualora venga concessa liberazione agli attuali detenuti”. Un “Appunto” del 21 ottobre affermava che “i guerriglieri dimostrano segni di insofferenza in relazione alla ‘assenza dai ranghi per detenzione in Italia’ dei 5 esponenti della formazione, protagonisti del noto episodio dei lanciamissili” e che, tanto presso il comando dell’Olp quanto “in ambienti responsabili dei Paesi arabi”, si sostiene che “non sarà possibile bloccare ancora l’intendimento dei guerriglieri”.

Quattro giorni dopo, il 25 ottobre, una nuova informativa comunicava l’arrivo a Roma di due esponenti di Settembre nero (che era in realtà Al Fatah, il principale gruppo dell’Olp, guidato da Arafat) e uno del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, secondo i quali “frange estremiste di Settembre nero” avrebbero rispettato il termine dell’ultimatum fissato al 30 ottobre “ma riprenderanno la libertà d’azione dal primo novembre”. La nota segnalava comunque la volontà distensiva della leadership nei confronti delle aree più battagliere e aggiungeva un passaggio molto significativo, e infatti evidenziato dagli estensori del testo per la sua importanza: “Naturalmente il tutto nel quadro di colloqui durante i quali agli interlocutori sono state dette ‘cose opportune’ da posizioni di prestigio”. Formula nemmeno velata per sottolineare che ai rappresentanti dell’Olp erano state fatte precise promesse in cambio della loro opera di distensione. Nella stessa giornata del 25 ottobre un vertice tra esponenti dei ministeri degli Esteri e degli Interni e del Sid alla Farnesina affrontò direttamente il caso.

Il 30 ottobre, alla scadenza dell’ultimatum, due dei cinque terroristi furono liberati e scortati in Libia, sull’aereo militare in forza alla struttura segreta Gladio “Argo 16”, da quattro dirigenti del Sid tra i quali Giovannone. Il 23 novembre lo stesso aereo, con il medesimo equipaggio che aveva portato i due palestinesi in Libia, sarebbe precipitato in seguito a un’esplosione. Nonostante due esponenti del Mossad siano stati processati e assolti, il fortissimo sospetto di una rappresaglia israeliana non si è mai sopito. Secondo Cossiga la scarcerazione dei due terroristi fu pilotata da Moro in persona: “Intervenne personalmente sul presidente del Tribunale, con la cortesia e la fermezza che gli erano proprie e fece concedere ai terroristi la libertà provvisoria”. Restava il nodo della detenzione degli altri tre detenuti, L’11 dicembre la polizia inglese avvertì Alitalia che “intorno al 14 dicembre terroristi del Fronte di liberazione palestinese tenterebbero una qualche azione contro Alitalia” in collegamento con l’apertura del processo contro i palestinesi arrestati a Ostia, che fu poi rinviata al 17 dicembre, il giorno della strage a Fiumicino.

Un nuovo incontro segreto con l’Olp dovette svolgersi il giorno seguente. Un documento riservato del ‘79 della Farnesina sulla storia dei rapporti tra Italia e Olp ricorda infatti che incontri “caratterizzati dalla discrezione” con i palestinesi c’erano stati da prima dell’avvio formale dei rapporti nel 1974 e che “fra tali contatti si situa anche il colloquio riservato del 12 dicembre 1973 dell’allora Direttore Generale degli Affari politici con un rappresentante dell’Olp, in un momento reso acuto dalla crisi degli approvvigionamenti energetici”. L’Italia, insomma, non si preoccupò troppo di allarmi e avvertimenti non perché, come è lecito sospettare a proposito dell’attentato del 1982, questa “distrazione” facesse parte degli accordi ma perché, al contrario, si sentiva garantita dall’embrione di lodo Moro già attivo. Una fonte del Mossad spiegava infatti così, parlando con il giornalista Pietro Zullino, la mancanza di protezione a Fiumicino poco dopo la strage: “Gli italiani davano l’impressione di essersi addormentati in un’atmosfera di illusoria sicurezza. Qualcuno di loro, privatamente, sosteneva addirittura che c’erano state delle assicurazioni da parte dei guerriglieri palestinesi”.

Quelle assicurazioni quasi certamente c’erano state davvero ma la leadership dell’Olp non era stata in grado di controllare tutte le sue componenti interne, oppure l’attentato avrebbe dovuto avvenire altrove e la strage si era invece consumata a Fiumicino perché qualcosa aveva costretto i terroristi a cambiare programma all’ultimo momento.
Di certo, subito dopo la strage, la principale preoccupazione dell’Italia fu evitare che quei 32 morti interferissero nei rapporti con i palestinesi. Appena cinque giorni dopo la strage, Giovannone si affrettava a incontrare a Beirut due dirigenti palestinesi chiamati in codice Dario e Antonio, probabilmente Abu Ayad e Farouk Kaddhumi, cioè i principali dirigenti di al Fatah dopo Arafat, per garantire la prosecuzione del dialogo e in effetti gli attentati in Italia si interruppero per anni. I tre terroristi arrestati il 5 settembre dell’anno precedente ottennero la libertà provvisoria, dietro cauzione di 20 mln ciascuno pagata dal Sid, il 27 febbraio 1974 e in marzo furono portati in Libia. I responsabili della strage finirono in Egitto, sotto la responsabilità dell’Olp. Liberati il 24 novembre al termine de drammatico sequestro di un aereo inglese, si “consegnarono all’Olp” il 7 dicembre. Da allora se ne è persa traccia.

(FINE – La prima parte è stata pubblicata ieri)