Da quando la pandemia da coronavirus ha fatto capolino nelle nostre vite, tra le categorie che ne hanno sofferto maggiormente ci sono sicuramente gli anziani, oltre che i più poveri e coloro che non hanno una famiglia solida che possa prendersi cura di loro. Oltre ad essere i più fragili ed esposti al rischio contagio, ciò che più preoccupa è l’allarme solitudine. Sono sempre di più, infatti, gli anziani che soffrono l’isolamento e il periodo del lockdown non ha certo aiutato. Terminata la prima ondata molti hanno potuto tirare un respiro di sollievo, ma il ritorno di una nuova fase di Covid-19 ha fatto ripiombare gli anziani in una condizione di “allarme sociale” soprattutto per coloro che risultano ancora positivi all’infezione.

Come testimoniano i dirigenti Asl delle strutture ospedaliere in tutte le regioni d’Italia, un paziente anziano o povero su cinque, subito dopo essere guarito, non sa dove andare. Un dato emerso anche dalle segnalazioni di sindacati e associazioni, come la Fondazione Promozione Sociale Onlus, che hanno registrato dallo scorso anno un aumento del rischio per le persone anziane o non autosufficienti di essere dimesse da ospedali e case di cura convenzionate per liberare posti letto, anche se al di fuori di queste strutture non c’è nessuno a prendersi cura di loro. L’emergenza coronavirus non è stata di certo di aiuto a questa situazione già preoccupante. Infatti, molti ricoveri nei reparti Covid di terapia intensiva sono ricoveri “sociali”: per la maggior parte sono persone sole che non hanno un lavoro fisso e/o una fissa dimora e che oltre ad essere risultate contagiate hanno anche almeno una patologia grave pregressa o risultano ancora positivi al tampone.

I ricoverati “sociali” stanno occupando in questi giorni molto delicati per la sanità italiana posti che potrebbero essere adibiti alle persone nella fase più acuta della malattia. Ciò sta portando ad un collasso sanitario con lunghi tempi di degenza e dimissioni difficili giustificato da un rimbalzo tra Rsa, ospedali e case di cura per motivi che variano dall’avvilente burocrazia alla mancanza di requisiti necessari per fare in modo che queste persone vengano trasferite in strutture che possano prendersi cura di loro.

L’ANALISI – A dare voce a questo fenomeno con dati alla mano e una specifica analisi del numero di posti letto nei reparti di area medica ci ha pensato la FADOI, la Società Scientifica degli Internisti ospedalieri, che in un comunicato sul loro sito ufficiale ha lanciato l’allarme della saturazione dei posti letto. Come afferma la stessa Federazione, i reparti ospedalieri di medicina interna si stanno facendo carico del 70% dei pazienti Covid, diventando così già ‘sold out’. Se i circa due terzi dei posti letto in dotazione sono già occupati da pazienti Covid, i restanti posti sono a loro volta presi dalle altre tipologie di malati, per i quali l’offerta di letti è in questo momento ampiamente insufficiente rispetto alla domanda di assistenza.

In tanti ospedali è stato necessario aprire reparti supplementari di area medica per accogliere i pazienti. Ma a preoccupare è anche il trend. In soli due giorni i posti letto dei reparti di Medicina interna teoricamente e potenzialmente disponibili per i pazienti no-Covid sono passati dal già esiguo numero di 12.875 a 8.869, ossia in 48 ore sono già stati erosi 4.006 letti, lasciando una riserva di posti destinata ad esaurirsi nel giro di una manciata di giorni. Questo parlando di numeri nazionali, perché a livello regionale Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia e Liguria sono già ‘sold out’ anche per i pazienti Covid.

“Gli ospedali sono vicini al collasso a causa della concomitante carenza di personale sanitario e di posti letto. Il personale è lo stesso quasi dappertutto ma i ricoveri e il bisogno assistenziale dei pazienti sono notevolmente aumentati”, commenta Dario Manfellotto, della federazione delle associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti Fadoi. “In Medicina interna ai pazienti vengono garantite tutte le cure, compresa l’ossigenoterapia e la ventilazione non invasiva, cercando di evitare di arrivare alla intubazione o alla morte. Inoltre gli internisti continuano assistere i pazienti, che sono affetti da altre patologie importanti, come insufficienza respiratoria, scompenso cardiaco, sepsi, polmonite acuta, ma per questi le possibilità di accesso agli ospedali si stanno riducendo. Ed è chiaro – prosegue – che una probabile se non certa conseguenza sarà la crescente difficoltà a garantire gli standard qualitativi di cura per i malati cronici riacutizzati non Covid”.