La crisi umanitaria aperta con il collasso della missione afgana apre un fronte complicato nell’agenda Draghi. E di tutta l’Unione europea. Perché una cosa emerge chiara in queste prime giornate caotiche in cui le notizie e le immagini rimbalzano da Kabul in tutta la loro drammaticità: Washington ha deciso di chiudere la missione perché, come ha detto nella notte il presidente Biden, «la nostra era una missione di controterrorismo e non certo quella di esportare la democrazia in uno Stato che non è mai stato tale ed è sempre stato in mano a clan e tribù» nonostante vent’anni di sforzi umanitari, migliaia di miliardi spesi, migliaia di vite sacrificate.

Aver ucciso Bin Laden e smantellato Al Qaeda – dal 2005 la Base qaedista non firma più attentati in Occidente -è il massimo degli obiettivi che potevano essere raggiunti. Da qui la fine della missione, il ritiro che Obama aveva ipotizzato, messo nero su bianco da Trump nell’aprile 2020 in una ancora poco chiara trattativa a Doha e da Biden concluso secondo cronoprogramma. Il messaggio neppure tanto criptico di Washington è: “Questa fetta di mondo non è più cosa nostra, gli americani chiedono di investire soldi nelle scuole del Kansas e non più di Kandahar. D’ora in poi se ne occupi chi, soprattutto in una prospettiva geopolitica, ha maggiori interessi a stabilizzare questa zona”. Ed ecco che il pantano afgano diventa subito un guaio per l’Europa e una possibile pedina utile nello scacchiere russo- cinese. La crisi afgana è quindi in questo momento anche una crisi europea. E una crisi italiana.

Il premier Draghi, in contatto fisso in queste ore con Difesa ed Esteri, con i ministri Guerini e Di Maio, ha subito coinvolto Bruxelles e ha chiesto “una soluzione europea alla crisi”. «L’impegno dell’Italia è proteggere i cittadini afgani che hanno collaborato con la nostra missione (almeno 400 persone, ne sono rientrate meno della metà e l’aeroporto di Kabul resterà chiuso fino a giovedì per motivi di sicurezza dopo le scene di panico di lunedì, ndr). Siamo al lavoro con i partner europei per una soluzione della crisi che tuteli i diritti umani e in particolare quelli delle donne». Questioni fondamentali che o non sono state blindate a dovere negli accordi di Doha oppure sono saltate in poche ore. Come, del resto, il Presidente, il suo governo di carta, l’esercito, le forze di polizia. Trecentomila persone addestrate e armate di tutto punto che si sono consegnate in cambio dell’incolumità.

Tutelare i civili dopo vent’anni di fedele collaborazione, metterli in sicurezza in Italia e comunque in Occidente; aprire quindi corridoi umanitari, e gestire l’inevitabile onda umana di afgani che cercheranno di scappare via terra (rotta balcanica) e via mare e raggiungere l’Europa, primo avamposto dell’Occidente democratico che aveva promesso salvezza e invece li sta abbandonando: sono queste le prime emergenze del dossier afgano che investono l’Europa e l’Italia. Il primo a raccogliere l’appello di Draghi è stato il presidente francese Emmanuel Macron che ha parlato lunedì sera chiedendo “una soluzione europea”. Angela Merkel ieri ha avuto colloqui telefonici con Draghi, con Boris Johnson e con il presidente francese Macron. La cancelliera ha parlato anche con l’alto commissario dell’Onu per i rifugiati, Filippo Grandi.

Sono previsti ulteriori colloqui con altri capi di Stato e di governo dei Paesi dell’area intorno all’Afghanistan. Se la Turchia sarà uno dei paesi interessati all’esodo (così come lo fu per i siriani), Balcani, Grecia e Italia saranno le tappe immediatamente successive. Contatti sono possibili anche con Pakistan, Mosca e Pechino. Prima di tutto per scongiurare che qualcuno riconosca legittimità al neonato “Emirato islamico” e al nuovo governo dei talebani che ieri si è insediato a Kabul armato fino ai denti e, in base alle testimonianze, andando “casa per casa” a cercare i “traditori”. Il problema immediatamente successivo è legato al terrorismo e al rischio che l’Afghanistan possa tornare a essere, come già lo è stato, la culla di una nuova jihad. È il rischio più grosso: che tra le masse di profughi in fuga possano muoversi con facilità nuovi foreign fighters. Alcuni analisti tendono ad escludere questo rischio. Come ha subito detto il nostro ministro dell’Interno, i nostri apparati stanno monitorando il fenomeno e hanno attivato le rete di informatori. «Non saremo l’hub della droga e non ospiteremo terroristi” hanno promesso ieri i portavoci del nuovo governo. Non ospiteremo foreign fighters e nei prossimi giorni inizieranno i colloqui per un governo di unità nazionale e inclusivo». Non potrebbero fare dichiarazioni diverse. Ma è troppo poco per fidarsi.

In questa fase, dopo il ritiro Usa confermato e motivato da Biden, è l’Europa la chiave di tutto: la crisi afgana deve essere il primo banco di prova per una coerente e unitario politica estera. Al di là dell’Onu e della Nato. La riunione dei ministri degli Esteri europei subito convocata va in questa direzione. Speriamo dia anche i risultati auspicati.
Il dossier afgano significa poi per Draghi anche una serie di fibrillazioni dentro la maggioranza. I bagni di sole e di mare del ministro Luigi Di Maio immortalato in Salento a Ferragosto al Togo bay di Punta Prosciutto in Puglia e gli spuntini in loco con il governatore Emiliano e l’ex ministro Boccia mentre Kabul cadeva, non hanno certo aiutato l’immagine del governo e l’azione del premier. Rientrato alla Farnesina dalla vacanza, ieri Di Maio ha partecipato alla riunione dei ministri degli Esteri UE.

«Stiamo lavorando ad un’iniziativa coordinata a livello internazionale per assicurare voli umanitari e fare in modo che all’emergenza si sostituisca un processo organizzato – ha fatto filtrare il titolare della Farnesina – La protezione dei civili. la messa in sicurezza degli afghani che hanno collaborato a vario titolo con la comunità internazionale e di personalità che si sono esposte a favore dei diritti umani e civili deve rimanere al centro dei nostri sforzi». Anche per questo, finché le condizioni lo consentiranno, l’Italia manterrà una presenza diplomatica presso l’aeroporto di Kabul e proseguirà le operazioni di evacuazione. Sul tema profughi Salvini e Meloni si sono subito scatenati confondendo una tragedia umanitaria con le partenze dalla Libia e dalla Tunisia. L’Anci ha chiesto ufficialmente di elaborare un programma di accoglienza per i profughi, i comuni – è il messaggio – sono pronti a fare la loro parte. Per tutta risposta Salvini ha rilanciato: “Lamorgese deve fermare gli sbarchi”. Il corpaccione della Lega al momento non si espone.

In compenso attaccano Biden e rimpiangono Trump non sapendo che è stato proprio l’ex inquilino della Casa Bianca a impostare e concordare la fine della missione. Riapre, alla fine e dopo varie pressioni (Pd, Leu e IV) il Parlamento. «Quello che sta accadendo in Afghanistan è di portata epocale. L’Occidente ha perso la faccia. Ora evitare che torni centrale il terrore», ha detto ieri Matteo Renzi ospite al Caffè della Versiliana. Renzi ha bocciato le decisioni dell’amico Joe Biden. Enrico Letta chiede “una grande mobilitazione nazionale per aiutare chi resta e chi fugge”. Il segretario Pd pone poi il dito sul tema che terrà banco il 24 agosto quando le commissioni Esteri e Difesa audiranno i ministri Guerini e Di Maio. Il titolare della Difesa spiegherà in quella sede perché non sono attivabili i “corridoi umanitari”: «Vorrebbe dire – si spiega – che il governo talebano è stato riconosciuto come legittimo».

Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia attaccano il governo – e Di Maio – perché il 24 “potrebbe essere troppo tardi”. È intervenuto anche il presidente Silvio Berlusconi: «Quello che accade in Afghanistan ci riguarda due volte, come uomini liberi e come responsabili politici dell’Europa e dell’Occidente». Auspica un ruolo “politico ed efficace “ da parte dell’Europa”. Ora l’unica strada è quella della diplomazia e del soccorso umanitario «che non deve però significare accettazione passiva della vittoria dei nemici della libertà». Altrimenti, citando Churchill, “oltre al disonore avremo anche la guerra”. L’alto nodo che si va ad impigliare nelle rete di Draghi è quello del futuro delle nostre missioni ministri. Il fallimento del peacekeeping afgano interpella la natura stessa delle missioni militari in essere e dell’immediato futuro.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.