Il documento che il Partito popolare europeo presenta oggi in conferenza stampa a Bruxelles sul salvataggio dell’auto europea ha un punto di forza (economico-industriale) e due debolezze (politiche). Partiamo dal primo. Se l’anteprima che sta già circolando sarà confermata, si può dire che è un documento concreto. La revisione del bando dal 2035 sui motori a combustione interna è cosa nota ed è il nodo della discordia tra chi la propone e il mondo progressista-verde. Questa però sta mettendo in ombra gli altri punti altrettanto rilevanti. L’introduzione di una metodologia standard a tutta la Ue, entro il 2025, per la valutazione del Life cycle assessment (Lca), per misurare l’impatto ambientale dalla produzione allo smaltimento, risponde alla necessità di risolvere un problema di frammentarietà della procedura. Attualmente non c’è un obbligo normativo per applicare la Lca ai veicoli.

Le case automobilistiche si muovono su base volontaria, spesso parziale. A sua volta il supporto richiesto allo sviluppo di tecnologie diversificate è finalizzato a favorire soluzioni come veicoli ibridi e infrastrutture per combustibili alternativi. È alla base di quel mix energetico e di materie prime critiche, strategico per un Continente a secco di risorse non rinnovabili, ma anche condizionato da una disponibilità di quelle rinnovabili a macchia di leopardo. In Europa, per intenderci, non picchia lo stesso sole ovunque, come altrettanto non tira vento forte ovunque. Si parla poi di riqualificazione della forza lavoro. Tema non di poco conto, visti i presìdi davanti alle fabbriche. Infine la richiesta semplificazione normativa riprende le indicazioni del Rapporto Draghi.

L’obiettività porta a dire che non è un paper ispirato da un Rudolf Diesel redivivo, che torna a imporre il motore a scoppio come se fossimo ai primi del Novecento. Tant’è che viene confermato l’obiettivo zero emissioni al 2050. Tuttavia le criticità restano. Con le sue proposte, il Ppe tenta una prova di forza non soltanto a sostegno dell’industria ma squisitamente politica. Loro sono i tenutari della maggioranza, in Parlamento e in Commissione. Loro sono riusciti nell’impresa di costruire intorno a Ursula von der Leyen un consenso allargato, che va dai verdi ai conservatori. Ora, se chi è dentro vuol restare dentro, deve adeguarsi al passo indicato dal Ppe.

D’altra parte, non è detto che questo riesca. Dopo il no alla revisione dello stop al 2035 della commissaria all’Ambiente Teresa Ribera la scorsa settimana, il collega all’Industria, Stéphane Séjourné, ci ha messo il carico da undici. A suo giudizio quella della destra è una lotta ideologica irrazionale. Di Ribera sappiamo il modus cogitandi. Per la commissaria spagnola, la transizione ecologica va portata avanti senza se e senza ma. C’è chi infatti la osserva come un Timmermans “en rose”, il passato commissario all’Ambiente, autore del Green Deal e – come tale – brutto ricordo per molte filiere produttive.

Differente è il caso Séjourné. L’uomo di Macron a Bruxelles, specie di questi tempi, dovrebbe essere un po’ più moderato nelle battute. Non è da escludere quindi che la sua uscita fosse più per marcare il territorio invece che mossa da sentimenti eco-friendly. In effetti il dossier industria è suo. In ogni caso, questo non esclude il rischio di un cortocircuito in Commissione, dove sull’automotive – oltre a Ribera e Séjourné – possono pretendere di parlare anche altri commissari. Da Hoekstra per il Clima a Fitto per la Coesione. Questa è la prima debolezza.

Il secondo elemento critico sta nella proposta del Ppe sul diversificare le fonti di materie prime critiche per le batterie, tramite accordi commerciali con nuovi mercati. E qui, oltre al maggior dialogo con l’India e il Sud-Est asiatico, entra in partita il trattato Ue-Mercosur: fumo negli occhi per la Francia – forse anche da qui la collera di Séjourné – ma anche per gli alleati di destra del Ppe. Conservatori e patrioti – a nome degli agricoltori di tutta Europa – hanno rigettato l’accordo raggiunto la scorsa settimana, in quanto suscettibile di concorrenza sleale in favore di prodotti agricoli latino-americani, in entrata a basso costo, nei nostri mercati.

D’altra parte, proprio grazie all’accordo con il Mercosur, l’Europa godrebbe dell’azzeramento dei dazi su commodity quali litio, rame, nichel, cobalto e grafite, di cui Argentina, Brasile e Cina sono ricche e senza le quali auto elettriche e batterie non si potrebbero produrre. Attenzione – questo per complicare di più le cose – si tratta di materie prime che fanno gola anche alla Cina. Per l’Europa quindi è una corsa contro il tempo. E non bastano le buone intenzioni di un gruppo parlamentare. Serve l’intervento di von der Leyen in prima persona.