In ritardo (ma questo è un peccato tutto sommato veniale), europeista e atlantista convinta sul dossier Ucraina ma anche contraddittoria su immigrazione e crisi energetica. Rivendicativa, polemica e con troppi “sorrisini” mentre parlano i deputati dell’opposizione ma in sostanziale continuità con il governo Draghi che però attacca e accusa di immobilismo. Era atteso uno standing diverso da parte della premier Giorgia Meloni al suo primo ritorno in aula dopo la fiducia, dopo cinquanta giorni di governo e alla vigilia del suo primo Consiglio europeo.

Invece sono stati completamente ignorati dossier chiave come il Pnrr e il Mes che hanno una loro urgente attualità ma sono scomodi perché ancora senza una soluzione da parte della maggioranza. Al posto della sostanza, spesso hanno prevalso sarcasmo e vittimismo. «Osservo – ha detto la premier – che è bizzarro essere accusati nello stesso dibattito di essere troppo sovranisti e troppo mainstream. Tranquilli, noi non scimmiottiamo nessuno e le etichette troppo semplicistiche che negli anni hanno provato ad affibbiarci stanno tornando indietro come boomerang». Insomma, ieri molti, anche nella maggioranza, hanno visto sul banco del governo una leader di partito nostalgica dell’opposizione anziché il presidente del Consiglio di un paese fondatore della Ue.

Qualcuno lo ha spiegato a voce alta. Il leghista Stefano Candiani, ad esempio: «Presidente Meloni, lei ha fatto un elenco dei vertici ai quali ha già partecipato quasi volendo dimostrare di essere legittimata. Ma non ne aveva bisogno perché quella legittimazione lei ce l’ha già». Micidiale. Come il paragone tra la premier e il ministro della Difesa Guido Crosetto. “Lei molto in difesa, lui molto ministro della Difesa, è stato bravo, ci è piaciuto, ben altro spessore e autorevolezza”, osserva a metà pomeriggio un deputato del Terzo Polo. Un paragone impossibile da ignorare visto che Meloni ha tenuto ieri mattina le Comunicazioni alla Camera e Crosetto ha reso nel pomeriggio (la mattina lo aveva fatto al Senato) le sue comunicazioni sul nuovo decreto Ucraina che sarà in continuità con quello precedente in scadenza il 31 dicembre.

L’Aula della Camera ha respinto le risoluzioni di Movimento 5 Stelle e di Alleanza Verdi e Sinistra sulle comunicazioni del ministro della Difesa, Guido Crosetto, sugli aiuti militari all’Ucraina. Il governo avere espresso parere contrario ad entrambi i testi, dando invece via libera alla risoluzione di maggioranza ed a quelle del Pd e del Terzo Polo sul proseguimento dei rifornimenti. «Crosetto si è rivolto a ciascun parlamentare intervenuto nel dibattito generale – ragionavano ieri alcuni deputati Pd e della Sinistra – spiegando con argomenti e cuore le ragioni del decreto, mettendo a nudo con garbo e ironia le contraddizioni (di Conte e dei 5 Stelle, ndr), sottolineando con orgoglio la specificità delle forze armate italiane e come, in questi mesi, la diplomazia abbia sempre cercato la strada della pace». A giudicare dal gradimento dell’aula, ieri Crosetto ha scippato la premiership a Meloni. Anche perché il titolare della Difesa aveva 39 di febbre ma non si è sognato di mollare un secondo l’aula.

La premier ha parlato per 35 minuti e ha indicati i tre nodi principali da affrontare a Bruxelles: l’Europa deve avere “un ruolo ancora più incisivo” nella crisi ucraina; sul fronte energetico deve ricalibrare la risposta contro la speculazione che al momento è “insoddisfacente e inattuabile”; sul dossier immigrazione si deve «passare dal dibattito sulla redistribuzione che ha fallito a quello sulla difesa comune dei confini esterni dell’Ue». Un intervento incentrato soprattutto sul ruolo del suo governo che vuole «avere più Europa in Italia, piuttosto che più Italia in Europa». In generale, pochi applausi e qualche scintilla. All’inizio, ad esempio, quando – in ritardo di 20 minuti “causa traffico, scusate ho calcolato male i tempi” – l’onorevole Giachetti (Iv-Terzo polo) ha sottolineato lo sgarbo istituzionale: “Mai successa una cosa del genere”. La replica: “Non ho mica detto che è colpa di Gualtieri…”.

Scintille anche in coda quando Meloni ha definito “solo propaganda” le tesi di chi dice che “la soluzione per la pace è fermarsi”. Da qui la difesa totale del sostegno militare a Kiev e delle sanzioni a Mosca. E il monito: “Non dobbiamo consentire che Putin utilizzi la carenza di cibo come arma contro l’Europa, come già sta facendo con il gas e il petrolio”. Sulla crisi energetica «siamo pronti a fare tutto quello che c’è da fare per fermare la speculazioni» ma «gli unici interventi davvero efficaci e risolutivi devono arrivare dall’Ue» che è “in grave ritardo” e ha finora prodotto ricette “insoddisfacenti”. Poi il pizzino a Germania e Olanda: «Andare in ordine sparso, pensando che chi è più forte economicamente possa salvarsi anche a scapito degli altri non è solo un’illusione ma tradirebbe l’idea di Europa decantata in questi anni».

Su guerra, energia, “Piano Mattei per l’Africa” la continuità con il governo Draghi è totale. Però, ancora una volta, la premier ha voluto rivendicare al suo governo un “decisionismo” che sarebbe mancato al suo predecessore. «Abbiamo messo in sicurezza la raffineria siciliana Isab-Lukoil, uno dei tanti dossier finora irrisolti». Sull’immigrazione continua l’attacco alla Francia e all’Europa. «La ricollocazione non funziona visto che i profughi ricollocati sono stati 117 su 94 mila. La Francia ne ha presi 38 e chiedetevi perché Parigi si è così agitata quando hanno dovuto aprire i loro porti alla prima nave ong. L’Italia non può essere l’unico porto di sbarco in Europa». Con questi toni è difficile immaginare a breve il disgelo diplomatico tra Roma e Parigi. E anche il resto d’Europa. Vediamo se stamani al Senato la premier metterà da parte sarcasmo, vittimismo e sorrisini è andrà più sui temi.

Avatar photo

Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.