Non è facile trovare, oggi, un testo scritto (quale che ne sia la forma) capace di raccontare il Paese in cui viviamo, trasfigurando gli stereotipi più usurati, e ormai impossibilitati a realizzare un discorso veritiero, in creature tanto concrete e puntuali, quanto tipiche, più che simboliche. Questo accade in Cuori di nebbia di Lucia Giaquinto, ripubblicato, dopo quindici anni dalla sua prima uscita, da Terrarossa Edizioni, casa editrice pugliese che sta svolgendo un importante lavoro culturale e, in questo caso, ha sottratto all’oblio un romanzo importante.

Leggerlo implica infatti il vantaggio di una sorta di corso accelerato di sociologia e psicologia collettiva, grazie all’agile ed aspro resoconto di uno spaccato di vita nel territorio emiliano – la provincia tra Modena e Bologna – che contiene anche brevi e ironici cenni ai miti e alla realtà della sinistra italiana. Sono i personaggi a parlare. Sono molti. Ma inconfondibili, nonostante la complessiva brevità dell’impianto narrativo. Ed è il paesaggio a raccontare. Il paesaggio come entità complessiva che intreccia natura e storia, fatto di superstrade che separano distese di coltivazioni, fossati, corsi d’acqua, argini, stalle, colline, ponti e boschi. In questo contesto di una storia che si svolge nelle nebbie di un inverno solitario ed esigentissimo, ci si presentano in prima persona i contadini possidenti Mirella e Filippo, una coppia sposata senza gioia, che lavorano come muli e sono stati capaci di accumulare ben 200 mila euro di risparmi.

Mirella ama la dirimpettaia, la Ivonne. Filippo – che ha imparato a scrivere qualche verso grazie alla scuola serale delle 150 ore (una palestra importante per la stessa Giaquinto, come capiamo leggendo la postfazione) – nutre una devozione sempre più esaltata e donchisciottesca nei confronti di Natascia, prostituta incontrata sulla strada, la quale però conosce benissimo la lingua italiana (meglio di Filippo) e ha mire ben precise di benessere e autonomia economica. Biondissima e spietata, come una declinazione russa di Uma Thurman in un Kill Bill da campagna emiliana, incarna alla perfezione la bellezza gelida e scostante della dea Fortuna. Ci sono poi la eroinomane che cerca di distruggersi, la magrissima Patrizia; Nicola il guardone; Francesco, ex obeso inorridito dalla masticazione persino del più innocuo cioccolatino; Mirco, viandante mendico, povero di spirito, animato dalla fiamma della compassione universale.

È l’ora del giorno che succede alla notte più fonda la loro ora, il tempo di questi “cuori di nebbia”: l’ora di una provincia attraversata incessantemente da Tir che sfrecciano per tutta Europa caricando e scaricando merci e prostitute; una provincia di gente che lavora duramente la terra e alleva le bestie; che non sa distinguere il bene e il male, che confonde la propria piccola, immediata, infantile felicità egoistica con la felicità universale, oppure crede di essere guarita o di aver il coraggio di desiderare la morte, mentre invece non sa neppure lontanamente dove risieda la vera guarigione e alla resa dei conti è colta dal terrore, umano e commovente, che davvero sia arrivato l’angelo della morte a inghiottirgli l’anima intonando l’amen conclusivo.

Giaquinto amministra con leggerezza la materia pesante di un gruppo di esistenze smarrite, insensate, spesso svuotate della pur minima spinta etica. Le vengono in soccorso in armonie facili, in melodie accattivanti i registri ora del comico e del sarcastico, ora del visionario e della malinconia, ora dei rossori della vergogna e della pietà per i morti, anche quella per i topi usati come cavie di un laboratorio. E la verità delle storie raccontate, con la scoperta degli accadimenti finali – immersi nell’amarezza dei colpi inattesi della sorte – non ci viene propinata come il frutto di un arguto meccanismo d’invenzione: quelle verità ultime, tutte ambigue se non nei fatti, di certo nei moventi più profondi e annebbiati, le matura il lettore insieme con l’autrice lungo le fermate di questa Spoon River emiliana. Accade infatti ciò che il guardone Nicola esclude possa accadere nella vita reale: “Ormai i morti sono morti e non li risuscito mica andando a raccontare la verità, che poi io non so mica quale sarebbe”. Succede in letteratura, in effetti. Certamente in questo romanzo.