Nell’apparente ossimoro del titolo del suo ultimo libro, L’assurda evidenza (Tlon, p.88, euro 13) Francesco D’Isa esercita pienamente, senza remore e con coraggio, il mestiere antico del filosofo. E dico antico perché il metodo che l’autore sceglie dà forma a una scrittura maieutica, il più possibile dialogica con il lettore/ascoltatore, direttamente connessa dunque all’archetipo di ricerca socratica e ai suoi derivati nel discorso filosofico del XIX e XX secolo. L’esperienza personale del dolore, subito da ragazzo in un letto di ospedale, dà la stura a un racconto che vuole consegnare al lettore un processo assolutamente intimo e personale di liberazione. Liberazione dalle paure, per un verso, e, per altro verso, dalla pretesa di ricondurre l’esperienza nelle strutture della logica occidentale alle quali tutte e tutti ci abbeveriamo come a un latte materno (la prima struttura, naturalmente, è il principio di non contraddizione).

Qual è, in effetti, l’assurda evidenza della quale D’Isa vuol farci partecipi per renderci, alla fine della lettura, più consapevoli e, quindi, più leggeri, più felici? L’evidenza è la partecipazione all’esistenza, ai processi dell’essere anche del nulla, di quanto la nostra mente arriva a concepire come nulla, come non-essere. La chiave di accesso a una coscienza più profonda della realtà diventa, in questo modo, il paradosso, il quale si nutre di costanti violazioni del principio di non contraddizione, e proprio per questo è in grado di consegnarci una comprensione più effettiva, più reale, più vera di tutto quanto è, di tutto ciò che siamo. Non è un caso che il discorso sviluppato da D’Isa nelle tre parti del libro tragga origine, oltre che dall’esercizio intellettuale, e dalla personale esperienza del dolore, del limite corporale, della finitudine immersa in una vita più vasta, anche dalla meditazione orientale e, in specie, dalla pratica del vipassana.

Dalla consistenza della nostra vita qui e ora, che percepiamo con grande concretezza mentre meditiamo, deriva al contempo la coscienza di ciò che è oltre le nostre categorie, le nostre distinzioni, al di là delle categorie morali di ciò che è bene e ciò che è male: il capovolgimento delle regole logiche provocato dal paradosso consente una visione più chiara e più profonda di noi e del mondo, una visione al contempo impregnata di compassione e di attenzione alle relazioni inattese di cui i nostri giorni sono intessuti. Ed è nell’intreccio di questa triplice dimensione – argomentazione filosofica, racconto personale e prospettiva lato sensu spirituale – che L’assurda evidenza è capace di diventare un’agile guida per mettersi in ascolto di sé stessi in queste decadi che ci attendono, quando dovremo praticare l’arte di una ferrea solitudine, capace al contempo di rifondare la solidarietà umana e di riorientare un rinnovato senso di comunità.