Circa il 40% dei detenuti che escono dal carcere dopo anni di detenzione presentano patologie psichiatriche o oncologiche. È una percentuale alta, che rende l’idea di come espirare la pena in celle sovraffollate, fra scarsa igiene e troppa promiscuità, con poca luce e poco spazio, e farlo per anni e anni, possa segnare duramente la mente e il corpo di un detenuto. Sono ferite interne. «Chi entra in carcere colpevole di aver commesso un reato rischia di uscirne vittima di malagiustizia o malasanità», tuona il garante dei detenuti della Campania Samuele Ciambriello.

Il garante è in prima linea a tutela della salute dei detenuti, soprattutto in questo periodo di grande emergenza sanitaria causata dal Covid che avanza nelle carceri e fa moltiplicare i contagi. Nelle prigioni campane, in poche settimane, si è sfondato il tetto dei 500 contagiati fra detenuti reclusi nelle celle e personale in servizio negli istituti di pena. I detenuti positivi al Covid sono 202, gli agenti della penitenziaria 221 e 30 gli operatori socio-sanitari risultati positivi al virus. E, come se non bastasse, i posti per l’isolamento dei contagiati negli istituti di pena sono sempre più scarsi. In tutto questo la politica resta in silenzio e per sollecitare un intervento che contribuisca concretamente a risolvere il dramma delle carceri si stanno mobilitando soltanto garanti, cappellani e penalisti. Dopo aver incontrato nei giorni scorsi il prefetto di Napoli Marco Valentini, oggi il garante campano Ciambriello incontrerà il prefetto di Caserta Raffaele Ruberto. Si chiedono interventi da parte del governo Conte per alleggerire il peso del sovraffollamento negli istituti di pena, liberare spazi che possono servire a gestire meglio l’emergenza ed essere utilizzati per la quarantena e l’isolamento dei positivi.

Il Covid, in questo momento, è un problema primario nelle carceri. Per sopperire alle più stringenti restrizioni che la zona rossa impone, sono state autorizzate le videochiamate tra i detenuti e i garanti, non solo con quello regionale ma anche con i garanti di Napoli, Pietro Ioia, di Caserta Emanuela Belcuore, e di Avellino Carlo Mele. Uno spiraglio riluce nel buio della pandemia. Mentre sullo sfondo restano le criticità di sempre, quelle che in decenni non si sono mai risolte. Quelle legate alla qualità di vita nelle carceri e alla qualità della tutela della salute dei detenuti. Vivere dietro le sbarre e in celle affollate può produrre un arresto del processo biologico di maturazione e una diminuzione delle facoltà sensoriali. Abituandosi alle minuscole dimensioni di una cella, si perde il senso della distanza e delle proporzioni e, assuefacendosi ai colori non naturali, si può cadere facilmente in alterazioni e infermità della vista. Inoltre il moto, ridotto ai soli spostamenti fra stanze e corridoi, incide sull’equilibrio fisico riducendolo.

Per non parlare della sfera più intima, legata all’equilibrio psicologico: in carcere si perde l’intimità, non c’è riservatezza, si è costretti a convivere con persone che non si sono scelte e la solitudine diventa uno dei sentimenti prevalenti che, assieme a fattori come la privazione della libertà, la convivenza coatta, la monotonia, l’ozio, il microclima, la lontananza dai parenti, l’abolizione dei rapporti sessuali, le preoccupazioni processuali, l’esposizione al pubblico giudizio, la perdita dell’autodecisione, finiscono per diventare fonte enorme di stress e capaci di segnare il detenuto, nel fisico o nella mente.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).