Giustizia
Dal flop Qatargate alla candidatura, la “grande scuola” italiana del conflitto d’interesse fra toghe e politica contagia il giudice Claise
In materia di conflitti d’interesse fra toghe e politica l’Italia ha fatto certamente scuola in giro per il mondo. Ne è la prova la candidatura questa settimana dell’ormai mitologico Michel Claise, il giudice istruttore belga che con la sua indagine, condotta dagli 007 di Bruxelles e poi miseramente naufragata, ha terremotato il Parlamento europeo. In pensione dallo scorso anno all’indomani della notizia che il figlio aveva avuto rapporti con l’eurodeputata belga Maria Arena, non indagata ma figura centrale nel Qatargate, Claise ha deciso di candidarsi con Défi (Democratico federalista indipendente), un micro partito di ispirazione social liberale che ha due eletti (su centocinquanta) in Parlamento. “In questo partito non ci sono baronie e c’è un vero spirito di apertura”, ha dichiarato euforico Claise spiegando il motivo della scelta di aderire a Défi. “Sono anche legato alla laicità”, ha aggiunto Claise che in passato non aveva fatto mistero di essere massone, sottolineando che in questo momento “Défi è l’unico partito veramente laico in Belgio”.
Il Qatargate, l’indagine sulle presunte corruzioni da parte del potente emirato del Golfo, verrà ricordato soprattutto per il maxi dossieraggio effettuato da Claise nei confronti degli eurodeputati. Da quanto emerso dalla lettura degli atti a carico di Eva Kaili, ex vicepresidente greca del Parlamento europeo, trattenuta in carcere per oltre quattro mesi, alcuni pubblici ufficiali che non sono mai stati identificati erano entrati in un’aula parlamentare ad ascoltare quello che avveniva nell’ambito di discussioni riservate. In un verbale datato 14 novembre 2022 e inviato proprio a Claise, in particolare, era stata descritta con grande dovizia la riunione della sottocommissione per i diritti umani con all’ordine del giorno una discussione sulla Coppa del mondo, svoltasi alla presenza di Ali Bin Samikh Al Marri, ministro del Lavoro del Qatar. Nel verbale erano indicati i nomi di Antonio Panzeri, europarlamentare del Pd, poi coinvolto nel procedimento e che successivamente deciderà di ‘collaborare’ con i magistrati belgi in cambio della libertà, e Francesco Giorgi, suo ex assistente parlamentare e compagno di Kaili. “Lo hanno fatto come spie, ma al servizio delle autorità belghe”, disse l’europarlamentare dem Giuliano Pisapia, ricordando che “l’immunità parlamentare assicura l’indipendenza e l’integrità del Parlamento nel suo complesso e questo principio è stato calpestato in maniera vergognosa e in violazione dello Stato di diritto”.
Kaili nelle scorse settimane ha fatto causa al Parlamento europeo “per violazione della sua immunità parlamentare, essendo stata monitorata dai servizi segreti durante il periodo in cui ha partecipato alla Commissione Pega, che stava indagando istituzionalmente sull’esistenza di software illegali che monitoravano le attività degli eurodeputati e dei cittadini Ue”. Ma a denunciare possibili violazioni erano stati anche i legali di Andrea Cozzolino, altro europarlamentare del Pd e anch’egli coinvolto nell’inchiesta, che avevano posto la questione alla Corte d’Appello di Napoli chiamata a decidere sulla sua estradizione. Per i magistrati campani, comunque, non era possibile ritenere che le indagini fossero state svolte dai servizi segreti invece che dall’autorità giudiziaria attraverso la polizia giudiziaria. Sulla vicenda, comunque, nei giorni scorsi è intervenuto anche Andrea Orlando chiedendo di fare finalmente chiarezza.
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