Diversi anni fa venni a conoscenza di una storia da brividi: una donna, ai tempi di Mani Pulite, venne arrestata e collocata in una cella con una sieropositiva. Lo scopo? Farle confessare i presunti crimini del suo compagno, politico di spicco. Leggendo le parole di denuncia di Eva Kailī, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, non può non venire in mente quella stagione: la stagione della carcerazione preventiva utilizzata come leva per far confessare i crimini.

Tu parla, e ti libero. Tu parla, e puoi vedere tua figlia. Tu parla, e come te l’ho tolta, ti ridò un briciolo di dignità. È il metodo Mani Pulite, ma anche quello seguito ancora oggi da alcuni magistrati in spregio a qualunque garanzia costituzionale e che dimostra come una riforma della carcerazione preventiva sia più che mai urgente. Un metodo che, a quanto pare, la procura belga ha esportato e copiato con successo.

Una donna, abituata a una vita agiata, viene privata della dignità, lasciata al freddo e senza acqua corrente, minacciata utilizzando la figlia. Questa è la storia di Eva Kailī, di cui non deve interessare se sia colpevole o innocente. Quello che dovrebbe interessare è che nel cuore dell’Europa, vi è stata una violazione dei diritti umani.

Già, perché tutti coloro che a Bruxelles sono prontissimi a denunciare violazioni di diritti, si scordano troppo spesso che a quel novero appartengono anche i diritti dell’imputato. Quei diritti che sono stati ignorati dal Belgio in modo sistematico. La denuncia di Kailī non si limita infatti al tema della detenzione: l’aspetto più inquietante della sua denuncia è quello che riguarda i servizi segreti, che avrebbero intercettato illegalmente dei parlamentari. E qui, anche a Roma potrebbero fischiare le orecchie…