L’ex vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, coinvolta nell’inchiesta belga sul Qatargate, ha fatto causa allo stesso Parlamento “per violazione della sua immunità parlamentare, essendo stata monitorata dai servizi segreti durante il periodo in cui ha partecipato alla commissione Pega, che stava indagando istituzionalmente sull’esistenza di software illegali che monitoravano le attività degli eurodeputati e dei cittadini Ue”. Lo annunciano i legali dell’europarlamentare greca.

L’arresto e le torture

Arrestata il 9 dicembre scorso, Kaili è stata rilasciata il 25 maggio a seguito di una detenzione preventiva durata ben cinque mesi. Secondo i legali della Kaili, i metodi utilizzati dalla procura belga sono stati semplicemente disumani. Per ragioni non ancora chiarissime fra l’11 e il 13 gennaio Kaili fu tenuta in isolamento senza la possibilità di comunicare con nessuno.  In quei giorni Kaili aveva le mestruazioni, e sempre secondo i suoi avvocati le fu negato di farsi una doccia.

Nelle prime settimane di detenzione in molti si sono schierati contro le modalità al limite della tortura utilizzate contro la Kaili. “Lei non ha accettato di confessare” – scriveva Piero Sansonetti – “si è dichiarata innocente e ha fatto infuriare gli inquirenti. Che l’hanno arrestata illegalmente, perché lei era protetta dall’immunità parlamentare, inventandosi una inesistente flagranza di reato, l’hanno anche torturata, tenendola 48 ore al gelo e senz’acqua (dopo avergli sequestrato anche il cappotto) in una cella di isolamento con le luci sparate per non farla dormire, e le hanno fatto capire che sarebbe stato meglio parlare altrimenti sarebbe rimasta in carcere”.

“Libera poiché la tortura non ha funzionato” – scriveva l’europarlamentare Massimiliano Smeriglio – “Il 9 Febbraio ho scritto alla presidente Metsola chiedendo di verificare le pessime condizioni di carcerazione della Kaili. Isolamento, freddo, violenza verbale, difficoltà e umiliazione nella gestione del ciclo mestruale, senza neanche la possibilità di lavarsi. Per non parlare del divieto di vedere la figlia di due anni. La presidente Metsola non ha mai risposto, ora la Kaili è agli arresti domiciliari, luogo naturale in cui attendere il processo visto che non c’è pericolo di fuga, né possibilità di reiterare il reato, né di inquinare le prove.”

 

Redazione

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