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Delitto nella Firenze del Cinquecento, chi ha ucciso il Pontormo? Giorgio Vasari si scopre detective nelle “Prospettive” di Binet
Chi ha ucciso il grande pittore Pontormo e perché? Ovviamente Pontormo (1494-1546) nella realtà non fu ucciso da nessuno ma un giallo è un giallo e dunque tutto è falso, anche se sembra vero: e il romanzo “Prospettive” di Laurent Binet (La Nave di Teseo, traduzione di Anna Maria Lorusso) è un vero giallo con una particolarità fantastica: i protagonisti sono persone realmente vissute, e anche molto note. A partire dalla vittima, il pittore fiorentino Jacopo Carucci detto Pontormo appunto.
Il maestro viene trovato assassinato nella Basilica di San Lorenzo a Firenze che egli stava affrescando, cosa realmente accaduta – ma purtroppo è andato tutto distrutto e noi oggi non vediamo niente di quel capolavoro che addirittura doveva rivaleggiare con la Cappella Sistina, che in quegli anni Michelangelo stava dipingendo. E proprio Michelangelo, somma autorità venerata da Pontormo, stimatissimo a sua volta dal Buonarroti, è il primo a cui viene chiesta un’opinione sul delitto da parte di un “detective” molto particolare: Giorgio Vasari, pittore anche lui ma soprattutto biografo dei grandi artisti fiorentini di quel tempo, nonché durissimo critico della modernità del Pontormo.
Il giallo è costruito con l’escamotage del romanzo epistolare, sicché Vasari scrive a varia gente, e parecchie missive si intrecciano tra grandi personaggi di quel tempo, Caterina de’ Medici regina di Francia, sua cugina Maria de’ Medici, figlia del grande Cosimo che in quel momento regna su Firenze, il pittore Bronzino, Benvenuto Cellini e tanti altri. Ognuno offre a Vasari la sua “prospettiva”, cioè la sua opinione, fino alla soluzione dell’enigma, in dipanarsi di vicende minori ma sempre suggestive.
“Prospettive” di Binet, che naturalmente è grande esperto di storia italiana, è dunque un libro intrigante e piacevolissimo che – andando oltre la dimensione del giallo – fornisce un’ottima occasione per immergersi nell’irripetibile clima della Firenze del Cinquecento. Scopriamo tante cose verosimili e alcune vere. Così afferriamo un lembo del pessimismo di un Michelangelo, ormai vecchio e prostrato dall’immane opera della Cappella Sistina che scrive al Bronzino: «Il tempo non renderà giustizia a nessuno. Gli uomini di domani non saranno migliori di quelli di oggi. Tutto sarà distrutto. Alla fine, di noi non resteranno altro che ceneri e rovine». Per fortuna, di lui e di quel tempo è rimasto molto, e per l’eternità. Con questo romanzo a noi ne arriva un prezioso sentore.
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