Il caso
Denis Verdini: l’accusa chiede di salvarlo, la Corte lo sbatte in galera
Finisce, dunque, nel modo peggiore la vicenda giudiziaria di Denis Verdini, ex uomo forte di Forza Italia ai tempi del berlusconismo rampante e poi fondatore di Ala, il gruppo parlamentare nato nel 2014 per sostenere il governo Renzi. La Quinta sezione penale della Cassazione, presieduta da Paolo Antonio Bruno, ha confermato ieri la condanna per bancarotta nei confronti dell’ex senatore di Fivizzano (Ms). A luglio del 2018 la Corte d’Appello di Firenze aveva ridotto a 6 anni e 10 mesi la pena inflitta l’anno prima dal Tribunale a nove anni. Secondo i giudici, Verdini, dal 1990 al 2010 numero uno del Credito cooperativo fiorentino, una piccola banca con sede a Campi Bisenzio (FI) e sette filiali tutte concentrate nei comuni dell’hinterland del capoluogo toscano, avrebbe favorito diverse operazioni “anomale”, realizzate con una gestione “ambiziosa quanto imprudente” e in particolare con innumerevoli finanziamenti (oltre il 52% del credito) soprattutto nei confronti del gruppo Btp degli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei (anche loro condannati), operante nel settore delle costruzioni.
Questi finanziamenti avevano causato il dissesto dell’istituto di credito come accertarono poi i commissari nominati da Bankitalia.
Per le gravissime criticità il Credito cooperativo fiorentino venne dichiarato nel 2012 insolvente e quindi assorbito da Chianti Banca. L’inchiesta era stata portata avanti dal Ros dei carabinieri coordinata dall’allora procuratore di Firenze Giuseppe Quattrocchi e dai pm Luca Turco, Giuseppina Mione e Giulio Monferini. In primo grado i giudici Mario Profeta, Laura Bonelli e Maria Teresa Scinicarelli, dopo circa 80 udienze, avevano ripercorso le vicende della banca e del gruppo Btp. I magistrati evidenziarono la “disinvoltura” con la quale Fusi e Bartolomei “erano soliti affrontare il tema dei finanziamenti”. “Imprese attive ma che vivevano sul filo del rasoio, sul ciglio del burrone, e non per incapacità ma per la scaltrezza nell’attingere a finanziamenti che servivano ad avvalorare i progetti, che si autoalimentavano di nuova finanza, che serviva per effettuare movimenti infragruppo, che a loro volta determinavano un’apparenza di solidità, che invece nascondeva un precario equilibrio. Nuovi progetti, nuove ambizioni, espansione oltre ogni ragionevole capacità di tenuta dell’impresa di costruzioni”, scrissero nelle oltre settecento pagine della sentenza.
Fra le opere che Btp voleva portare a termine, la Scuola marescialli e brigadieri dei carabinieri di Firenze. Venne aperto un autonomo procedimento che portò, in primo grado, alla condanna di Verdini a due anni di reclusione, pena sospesa, per concorso in corruzione. Secondo l’accusa Verdini aveva fatto nominare Fabio De Santis provveditore alle opere pubbliche della Toscana dal ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, poi deceduto, affinché si adoperasse per aiutare Fusi. La Corte d’Appello aveva nel 2016 dichiarato la prescrizione per Verdini. Tornando, invece, al processo per la bancarotta del Ccf, la Cassazione non ha accolto la richiesta del sostituto procuratore generale Pasquale Fimiani che aveva chiesto per Verdini un nuovo processo d’Appello, sollecitando l’annullamento con rinvio.
Dichiarata la prescrizione per i reati di truffa relativi ai contributi all’editoria, per circa 10 milioni, degli anni 2010-11 quando Verdini era editore del Giornale della Toscana, quotidiano che sospese le pubblicazioni quest’anno, e del settimanale Metropoli. Il Giornale della Toscana, si ricorderà, veniva pubblicato in abbinamento con Il Giornale. La sentenza della Cassazione arriva dopo due rinvii dell’udienza a causa dell’emergenza Covid: prevista per lo scorso marzo, l’udienza era inizialmente slittata al 17 luglio.
Per Verdini si aprono ora le porte del carcere, almeno fino a maggio quando compirà i settant’anni e potrà chiedere una misura alternativa alle detenzione inframuraria. La condanna a sei anni e mezzo è poi esclusa dalle recenti disposizione per abbassare la pressione nelle carceri e combattere il contagio del coronavirus. Possono chiedere di andare ai domiciliari, infatti, solo i detenuti con un residuo di pena da scontare inferiore ai 18 mesi. In attesa che la Procura generale di Firenze competente per l’esecuzione della pena notifichi il provvedimento, Verdini, come confermato dal suo difensore, l’avvocato Franco Coppi, ha deciso di costituirsi a Rebibbia.
© Riproduzione riservata