Se un leader di partito, di un qualunque partito, magari sconfitto in un congresso, andasse in tv a dire di aver perso perché sono stati usati metodi mafiosi, che cosa succederebbe? Nel nome del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, un procuratore della Repubblica aprirebbe un fascicolo. Magari con il modello 45, cioè contro ignoti. Ma sentirebbe subito dopo come persona informata sui fatti il leader rancoroso e poi magari, come atto dovuto, manderebbe un’informazione di garanzia al segretario di quel partito. Ci sarebbero titoloni sui giornali, il circo mediatico sarebbe in movimento e quel fatto, quasi sicuramente inesistente, potrebbe portare a un mutamento dell’assetto politico. Tutto ciò non accade se Nino Di Matteo, che pure è riuscito a vincere, con l’aiutino di Piercamillo Davigo, in un’elezione suppletiva del Csm, porta in tv le proprie frustrazioni e arriva a dire che l’uso delle correnti o delle cordate tra magistrati nelle progressioni di carriera è un sistema “mafioso”.

È chiaro che il pm reso famoso dal processo “trattativa”, accusando gli altri, parli di sé. Ma solo per autoassolversi e recitare la parte della vittima. È arrabbiato perché non è diventato ministro quando il partito che lo ha sempre osannato, il Movimento Cinque stelle, è andato al governo. È furibondo perché il guardasigilli Bonafede gli aveva promesso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e poi vi ha collocato un Basentini qualunque. Voleva andare a una procura distrettuale “antimafia” e non ce l’ha fatta. Poi gli era arrivato il contentino di un posto nel pool creato dal Procuratore nazionale Cafiero de Raho per indagare finalmente sui “mandanti” delle stragi, quelli che non erano mafiosi ma erano i veri ispiratori delle bombe. Insomma, Berlusconi o giù di lì. Ma anche in quella commissione gli era andata male ed era stato liquidato in pochi giorni. Insomma, se non ci fosse stato l’amico Davigo…

Perché sia chiaro che la sua elezione al Csm è pura, è etica, è fuori dalle correnti dei “mafiosi” come Palamara. Il quale, come risulta da qualche chat o da quel diavolo di trojan, era contrario alla sua collocazione nel pool sulle stragi e si è poi compiaciuto del fatto che Cafiero de Raho l’avesse espulso. Ma Palamara, intervistato nello stesso salotto di Giletti in cui Di Matteo, in carne e ossa oppure al telefono o in immagini registrate è il dominus, ha spiegato molto bene come funziona il meccanismo “mafioso”. Non sono nemico di Di Matteo, ha detto, infatti l’ho sostenuto nel 2009 quando voleva andare all’antimafia, ma gli ho preferito altri nel 2016, quando si è ritenuto che altri profili fossero più adatti per il ruolo. Il meccanismo è fatto così.

Il fatto che il dottor Di Matteo oggi sia indignato, dopo aver saputo come si sviluppano le carriere dei suoi colleghi, ci è di grande conforto. Supponiamo che negli anni scorsi lui sia stato all’estero e non abbia mai avuto contatti con altri magistrati italiani che lo tenessero informato di quel che succedeva. Ora vuol fare una svolta “etica” tra le toghe. Preferiremmo il termine “culturale”, anche perché lo Stato etico lo vediamo ogni giorno in inchieste come quella di cui il dottor Di Matteo è stato promotore, quello sulla fantasiosa “trattativa” tra lo Stato e la mafia. Ma è anche preoccupato, l’ex pm, perché vede la sua corporazione indebolita dall’immagine che ormai in tanti hanno delle toghe e teme che qualcuno ne approfitti.

Qualcuno chi? Beh, il mondo politico, che vorrebbe distruggere l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati e sottoporli al controllo dell’esecutivo. Un bel ragionamento da pubblico ministero, che confonde la parte con il tutto, o il tutto con una singola parte. Perché, neanche nel programma del più entusiasta sostenitore del sistema processuale anglosassone si è mai pensato di toccare l’indipendenza dei giudici, ma semmai di rendere responsabili politicamente i pubblici accusatori. La svolta etica del dottor Di Matteo consisterebbe dunque in questo? Nel rafforzare il partito dei pm, considerando solo loro i veri magistrati, i veri componenti della casta?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.