L'intervista al giovanissimo sacerdote, star dei social
Don Alberto Ravagnani, prete e influencer: “La Giornata Mondiale della Gioventù per me è l’evento che ricorda alla Chiesa di mettere i giovani al centro”
Siamo stati fra i pochi giornali che hanno dato spazio alla GMG celebrata a Lisbona, Ne abbiamo voluto parlare con Don Alberto, classe 1993, uno dei partecipanti all’evento.
Il Riformista è stato tra i pochi giornali a dare spazio alla Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona. Ed è sembrato quasi che i media non volessero dare spazio all’evento. Ne abbiamo parlato con il prete influencer, Don Alberto Ravagnani, classe 1993, un giovane sacerdote molto attivo sui social.
Don, era la prima volta che partecipavi alla GMG? Che cos’è per te?
Quella di Lisbona è stata la mia terza GMG, la mia prima volta è stata nel 2011 a Madrid, ero in quarta superiore e stavo iniziando un percorso di discernimento vocazionale, per me è stata la svolta. Vedere tutte quelle persone giovani piene di gioia e di Dio pregare insieme mi ha dato la spinta per rispondere alla mia chiamata, ho detto definitivamente il mio Sì. Alla seconda GMG ho partecipato come seminarista a Cracovia e anche questa volta è stata speciale, una bella conferma. La GMG per me è l’evento che ricorda alla Chiesa di mettere i giovani al centro, perché sono loro il fuoco, la passione e il coraggio. Quest’anno oltre 1 milione e mezzo di ragazzi hanno dimostrato che di giovani che credono ce ne sono ancora tanti, a dispetto di quello che alcuni social alle volte comunicano. Hanno dato una bella scossa al mondo. Noi siamo partiti in pullman con 42 ragazzi, per loro è stato responsabilizzante e arricchente, nessuno torna a mani vuote dalla GMG.
Quindi chiunque può partecipare alla GMG?
Certamente, questo evento serve per coinvolgere più persone possibili e avvicinare chi non frequenta la Chiesa. Tanti sono andati per mettersi alla prova, altri per mettere alla prova Dio e vedere un po’ più da vicino cos’è la Chiesa. Non dimentichiamo che per chi vive la piccola realtà della parrocchia locale, andare alla GMG significa spalancare gli orizzonti e rendersi conto che la Chiesa è qualcosa di molto più grande. Quando inizi a pregare con oltre 1 milione di persone e ti ritrovi in questo contesto comprendi che tanti capricci quotidiani, piccoli problemi e scandali sono niente rispetto alla posta in gioco: sentirsi parte della comunità di coloro che hanno incontrato Gesù, cosa c’è di più grande? È chiaro che con questa consapevolezza, tutto il resto viene ridimensionato.
Cosa ti porti a casa da questa esperienza?
Ho capito che troppo spesso il cristianesimo da noi viene vissuto in maniera privata, difficilmente viene portato fuori dalle parrocchie. Alla GMG i giovani cattolici sono ovunque, per le strade, nei piccoli ristoranti e cantano, pregano insieme senza vergogna per la propria fede. Questo evento ha autorizzato i ragazzi a manifestare la propria identità di cristiani e a vivere tutto ciò che tocca la loro vita quotidiana con la consapevolezza di essere figli di Dio. Chi vive in un contesto sociale distante dalla fede è portato all’appiattimento e alla chiusura, condizioni che non favoriscono lo sviluppo e la condivisione della propria esperienza di Dio. La GMG permette di vedere che fuori da sé ci possono essere tanti altri che vivono la fede. La Chiesa è una comunità, è un corpo fatto da diverse membra, diversi carismi e colori. Ci sono persone che hanno culture e tradizioni diverse ma c’è qualcosa di più grande che ci accomuna e alla GMG questo è evidente. Quando ti senti parte di qualcosa di più grande quello che ci accomuna diventa più importante di quello che ci divide ed è così che si apprezzano anche le differenze. Il senso di appartenenza è qualcosa che tutti portiamo a casa dalla GMG ed è ciò che dà senso al nostro Io. Nessuno si sente realizzato da solo, abbiamo tutti bisogno di sentirci parte di qualcosa di più grande di noi, la Chiesa è questo: una grande famiglia per tutti.
Cosa ha avuto di diverso questa GMG rispetto alle precedenti e cosa può fare la Chiesa perché ciò che i ragazzi hanno vissuto non vada perso?
Questa GMG l’ho trovata molto innovativa per non dire azzardata in certe scelte fatte, basti pensare al DJ set di Padre Guilherme che ha intrattenuto i ragazzi in attesa del Papa, una vera sorpresa per tutti. Tantissima musica cristiana accompagnata dai suoni che i ragazzi sono abituati a sentire in discoteca, l’utilizzo dei droni durante la veglia di preghiera, l’utilizzo dei social. La Chiesa a Lisbona ha dimostrato di essere al passo coi tempi, non teme le innovazioni, i social o la tecnologia, anzi, sono tutti mezzi che possono essere utilizzati proprio per annunciare il Vangelo, soprattutto ai più giovani che utilizzano quotidianamente questi strumenti. Per non perdere questa opportunità i preti e le parrocchie dovrebbero utilizzare questi canali per raggiungere i ragazzi in modo diverso e tramite il loro modo di comunicare, che non è più quello di una volta.
Nella Bibbia la frase “non temete” è ripetuta 365 volte, quasi come fosse un invito a ricordarci di questo ogni giorno dell’anno. Papa Francesco ha insistito più volte su questo concetto durante la GMG. Di cosa hanno paura i giovani oggi e perché?
I ragazzi di oggi sono schiacciati sul presente, hanno paura del futuro in generale e della solitudine. Questo è dovuto principalmente alla perdita del rapporto con la Trascendenza, se non credi nell’Eternità il presente è sempre precario e la nostra vita è appesa a un filo, è destinata a finire. Senza una prospettiva di senso tutto quello che finisce ci angoscia. C’è chi vive l’angoscia chiudendosi e chi prova ad esorcizzarla trovando modi per dimenticare che la nostra vita è precaria. Vivere in modo compulsivo i social e le relazioni è un esempio di come i ragazzi manifestano la paura della solitudine. L’urbanesimo, il capitalismo e lo stile di vita di oggi sono sicuramente alcuni dei responsabili, se pensiamo ad esempio ai genitori che lavorano tutto il giorno fuori casa, consentendo alla famiglia di riunirsi solamente alla sera e a volte nemmeno questo è possibile. Noi siamo le nostre relazioni e se queste sono sfilacciate e vissute in questo modo, diventa difficile non vivere queste paure, specialmente in età evolutiva.
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