Chissà se si guarderanno negli occhi l’ex numero uno della Dna Cafiero De Raho, oggi deputato Cinque Stelle, e Giovanni Russo che fu il suo vice, quando, nella giornata di domani, quest’ultimo arriverà al cospetto della Commissione Bicamerale Antimafia, di cui il suo ex capo è vicepresidente. Soprattutto quando l’attuale capo del Dap non potrà che ripetere quanto già detto all’autorità giudiziaria il 14 settembre 2023. In quella deposizione il dottor Russo aveva spiegato come avveniva il passaggio di mano, all’interno del gruppo addetto all’esame delle Sos, le segnalazioni di operazioni sospette di diverse banche dati, tra i vertici della Dna e i tecnici addetti, tra cui Pasquale Striano. La catena prevedeva il passaggio delle segnalazioni al dottor Laudati. Il finale consisteva in una “proposta di atto d’impulso”. Come fosse usato questo “atto d’impulso”, con lo scandalo delle notizie, anche sensibili, riguardanti decine e decine di personaggi dell’imprenditoria, della politica, dello sport e dello spettacolo passate sotto mano ai giornalisti del quotidiano “Domani”, è oggetto dell’inchiesta giudiziaria affidata a Perugia al procuratore Raffaele Cantone, che sta chiedendo con insistenza la custodia cautelare domiciliare per i due principali personaggi. Il magistrato Antonio Laudati rispondeva direttamente, in questo passaggio di informazioni, proprio al vicepresidente Giovanni Russo.

Ma c’erano eccezioni, come riferito dall’ex numero due della Dna. “Esisteva per motivi d’urgenza la possibilità che la proposta di atti d’impulso venisse inoltrata direttamente al procuratore. È capitato in più di un’occasione che Laudati avesse mandato atti direttamente al procuratore”. Chi era il procuratore? Proprio Cafiero De Raho. Logica vorrebbe che domani, davanti alla Bicamerale, i deputati e senatori, dopo aver sentito il dottor Russo, chiamassero in audizione il suo ex superiore per avere conferma delle procedure, e soprattutto del fatto di esser stato lui stesso, in alcune occasioni urgenti, il diretto riferimento degli “atti d’impulso” che provenivano da Striano e Laudati.

Ma come potrebbe la Commissione Bicamerale Antimafia chiamare in audizione il proprio vicepresidente e chiedergli notizie sul funzionamento di quella parte così rilevante dell’ufficio da lui diretto? Dalle informazioni più banali, come per esempio i criteri con cui aveva nominato il dottor Laudati come magistrato incaricato della gestione di quel progetto che gestiva le Sos, fino ai motivi della grande fiducia sempre riposta, fin da quando era procuratore capo a Reggio Calabria, nella persona del tenente della guardia di finanza Striano, da lui diverse volte encomiato nelle relazioni di servizio. Semplici curiosità, ma ben altro potrebbe stimolare l’interesse di deputati e senatori, soprattutto dal momento che l’onorevole Cafiero De Raho ha più volte sostenuto di essere parte lesa nel processo.

Proprio per questo sarebbe suo interesse capire, dopo la denuncia del ministro Guido Crosetto, come funzionava quel meccanismo di notizie che andavano e venivano dai suoi uffici fino alla redazione del quotidiano proprietà di un famoso editore come Carlo De Benedetti, e soprattutto a che cosa servivano questi dossier. Che sono ormai incalcolabili nel numero. Soprattutto dopo che il procuratore Cantone, nel ricorso al tribunale del riesame di Perugia per ottenere quanto negatogli dal gip, cioè la custodia cautelare per Striano e Laudati, ha depositato migliaia di nuovi atti. Numeri tali da mandare in confusione gli stessi giudici, che hanno rinviato la decisione sulle custodie domiciliari al prossimo 12 novembre. Perché si stanno aggiungendo ai duecentomila accessi abusivi già scoperti, altri 20mila passaggi di mano, con ulteriori avanti e indietro verso i soliti tre giornalisti di “Domani” già indagati, Nello Trocchia, Giovanni Terzian e Stefano Vergine. Carte nelle mani dei giudici e della procura di Perugia.

Ma intanto non va dimenticato l’aspetto politico di questo caso paragonabile solo a quello di De Lorenzo e del Sifar di settanta anni fa. E sarebbe dovere di Federico Cafiero De Raho un comportamento “onorevole”. Si faccia da parte, anche se la legge non glielo impone. È obbligatorio per la sua reputazione e quella della Camera dei deputati, che non merita questo increscioso imbarazzo istituzionale.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.