Qualcuno ha visto nella nomina di Mario Draghi a presidente del Consiglio il trionfo della tecnica sulla politica. L’abbiamo detto, il ricorso a personalità esperte in determinati settori e fino a quel momento estranee al dibattito politico è una strategia alla quale la storia italiana ci ha abituato già con Ciampi e Monti. Mai come stavolta, però, assistiamo non al trionfo della tecnica sulla politica ma alla rivincita della competenza sull’approssimazione. Non sappiamo se Draghi riuscirà a formare un Governo col sostegno del Parlamento e quali saranno i risultati del suo nuovo impegno politico. Certo è che il premier incaricato è una personalità preparata, esperta e particolarmente autorevole. Ed è altrettanto certo che la sua nomina suona come un invito ai partiti “sfornare” altri Mario Draghi, cioè una classe dirigente degna di questo nome.

Il monito vale per la dimensione nazionale, ma soprattutto per quella napoletana. Recentemente Biagio de Giovanni ha descritto da par suo le attuali condizioni del capoluogo campano: «un coacervo di problemi irrisolti», «preda di una completa anomia», dove «lo spazio pubblico è impoverito» anche a causa del vuoto amministrativo e del populismo inconcludente che hanno segnato il decennio di Luigi de Magistris alla guida di Palazzo San Giacomo. La situazione è talmente incancrenita, dunque, da imporre ai partiti una forte accelerazione su due temi cruciali: il rinnovo e la selezione della classe dirigente. Il che significa mettere le competenze in cima ai criteri in base ai quali vengono solitamente selezionate le candidature in vista di una tornata elettorale.

Non è realistico ipotizzare che i partiti accantonino i portatori di voti che sono determinanti per vincere le elezioni. Ma è almeno auspicabile che tutte le forze politiche tornino a ragionare sulle competenze spendibili da parte di ciascun potenziale candidato. Draghi, economista esperto e apprezzato nel mondo, è stato chiamato da Mattarella per stilare un Recovery Plan credibile e gestire in maniera ottimale i 209 miliardi assegnati all’Italia nell’ambito del Recovery Fund. Allo stesso modo, il prossimo sindaco di Napoli dovrà fare i conti con un disavanzo di quasi due miliardi e 700 milioni, servizi a cittadini e imprese pressoché azzerati, periferie abbandonate, un tessuto sociale devastato da dieci anni di non-governo prima ancora che da una crisi sanitaria ed economica senza precedenti.

I nomi che circolano in queste ore nelle segreterie di partito nazionali e locali sono in grado di affrontare e sciogliere questi nodi? Sono capaci di far quadrare i conti, garantire servizi efficienti, riavvicinare il centro alle periferie e porre le basi per uno sviluppo duraturo e sostenibile? Oppure i candidati finora ipotizzati dai partiti rispondono solo ed esclusivamente alla necessità di rinsaldare alleanze innaturali (vedi Partito democratico e Movimento Cinque Stelle) o di mascherare il fallimento di un’intera classe politica (nel caso del centrodestra campano)? La nomina di Draghi ricorda a tutti che la politica è una professione e che la pubblica amministrazione non può essere affidata al primo che passa. È ovvio? Mica tanto, dopo anni in cui si è alimentata quella retorica dell’uno vale uno che il cambio al vertice di Palazzo Chigi ha finalmente spazzato via.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.