«Un referendum tra noi e loro. Un bivio della storia. Il momento in cui Italia sceglie tra Europa e passo indietro, come fu Brexit per il Regno Unito». Con questa piroetta sotto rete (il match è durato 90’, due tempi regolamentari) Enrico Letta ha provato a rovesciare le sorti di una partita altrimenti segnata dai toni spenti. Corretti, anzi “fair”, come dice di se stesso Letta, ma spenti. «Siamo in una democrazia matura, c’è rispetto», ha convenuto in conclusione Meloni.

Un incontro ricco di spunti sui due programmi – quei libri dei sogni che dopo il voto vengono riposti in soffitta – ma privo di colpi di scena, se si esclude un siparietto sull’amore “normato” dallo Stato, tra coppie monogenitoriali o no. Il duello tra Enrico Letta e Giorgia Meloni, seduti uno accanto all’altra davanti agli schermi del Corriere.it, moderato dal direttore Luciano Fontana, consegna ai lettori un pronostico lontano dall’essere ribaltato. Per nulla acerrimi nel loro confronto, sul filo dell’amichevolezza, i due contendenti non hanno sfoderato armi micidiali. Letta è serio, a tratti serioso. Non regala volentieri un sorriso. “Lei, onorevole Meloni”, dice guardando di sottecchi alla sfidante del centrodestra. “Ma dai Enrico, fai il serio!”, lo richiama lei, più a suo agio nei toni della diretta.

Giorgia Meloni, prima volta di una donna in predicato di diventare premier, ha dalla sua una freschezza, una velocità e qualche battuta di reazione in più sull’avversario. Meno male che si è sfiorato il tema della libertà di amare, dell’essere genitori come e con chi si vuole. Perché altrimenti il confronto sarebbe rimasto sui toni grigi e spenti che lo studio del Corriere non ha aiutato a ravvivare. I temi toccati in velocità sono stati tanti, sulla giustizia e le grandi riforme istituzionali qualche dettaglio in più si è apprezzato.

«Sono garantista finché non ci sono le condanne, poi giustizialista: voglio che le pene, quando sono certe, vengano eseguite», ha detto Meloni, insistendo: «C’è bisogno di una riforma della giustizia più coraggiosa, non possiamo far finta di non vedere quel che è accaduto. Serve che i cittadini recuperino fiducia. Serve anche una riforma del Csm molto più coraggiosa, perché c’è un problema eccessivo di strapotere delle correnti e la cosa migliore da fare è procedere con il sorteggio. Serve una separazione delle carriere, occorre velocizzare i processi e dare tempi certi e certezza della pena».

Enrico Letta sull’argomento preferisce sia il presidente della Repubblica a incidere: «Vorrei una Alta Corte, da inserire in Costituzione. E a presiedere l’Alta corte, il vicepresidente del Csm che deve essere nominato dal Capo dello Stato». A proposito di Costituzione: “Intoccabile la prima parte”, ribadisce il segretario del Pd. “Poi si può
discutere di tutto”. Sul dramma delle bollette i due sfidanti concordano sul disaccoppiamento tra prezzo di acquisto del gas e costo dell’energia. I toni di Meloni sono attenti a non indispettire l’Europa. «Non prevedo lo sforamento di bilancio», rassicura. E giù una fila di indicazioni sulle misure e contromisure, soluzioni e risoluzioni per uscire dalle crisi dell’energia, della guerra, dell’inflazione, della disoccupazione, della denatalità, dell’immigrazione. «Meloni non parla più di blocco navale, mi sembra un ottimo risultato», fa notare Letta.

Novanta minuti in cui i due provano a stabilire i ruoli per il dopo voto: se lei farà la presidente del Consiglio, Letta potrebbe fare il capo dell’opposizione. L’importante è polarizzare il voto, dividerselo. A spese della Lega, per lei. Del terzo polo, per lui. «Perché il M5s non ci porta via voti, li prende a Salvini», dichiara il segretario dem al direttore Fontana, non troppo convinto. Come non molti sono convinti che ridurre la sfi da elettorale tra i diversi soggetti al duello tra due leader sia la soluzione migliore.

Matteo Renzi aveva protestato: «Enrico Letta è il miglior amico di Giorgia Meloni», chiedendo a gran voce un confronto a quattro, esteso a Calenda e a Conte. Il secondo vuol farsi apprezzare per la distanza dalla mischia, e non esserci gli fa gioco. Ma Calenda figurarsi se avrebbe accettato di non esserci, nel dibattito che indubbiamente ha incuriosito, fino a oggi, di più. E lo fa alla sua maniera, entrando di peso tra i due contendenti. Anche se il triangolo no, non lo avevamo considerato. Il duello tra Enrico Letta e Giorgia Meloni, ospitato dal Corriere.it, ha avuto il fuoriprogramma del leader di Italia sul Serio, come ormai si chiama il Terzo polo, che si è collegato per commentare e rispondere in differita su Facebook, come fosse parte del confronto in studio.

«Ho deciso di partecipare a distanza. Ritengo l’esclusione di due coalizioni vergognosa e per questo ho invitato anche Giuseppe Conte a collegarsi con me. Diamo una parvenza di normalità a questa campagna. Non è possibile che solo due dei quattro leader decidano i formati dei confronti e i giornali si pieghino ai loro desideri».

Simona Malpezzi aveva scaldato i tifosi dem prima dell’inizio del match: «La Meloni abbandona le vesti della moderata per tornare a usare toni sovranisti anti UE. Oggi difendere gli interessi italiani significa stare in Europa, attuare il Pnrr, lavorare per un’unione più autorevole e solidale. La destra non pensi a pericolosi ritorni al passato». Fratelli d’Italia non era rimasta con le mani in mano, mentre Giorgia andava al Corriere. Adolfo Urso è diventato il brand ambassador del partito e dopo essere stato a Varsavia e a Kiev, dove ha assicurato la più coerente linea di continuità sul supporto italiano, è volato a Washington.

Non per uno scambio di idee ma per un tour de force vero e proprio. «Per tre giorni, venti incontri in cui illustrerà il programma di Giorgia Meloni in politica estera, difesa e sicurezza e sui temi della cooperazione scientifica, tecnologica, economica e industriale. Coinvolti i principali think tanks americani, istituti e centro studi geopolitici, i rappresentati delle aziende italiane in Usa e delle aziende Usa in Italia, il direttivo della Niaf e altri rappresentati della Comunità italiana, esponenti del Congresso componenti le commissioni intelligence, difesa, esteri e bilancio».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.