Sapremo solo lunedì se i risultati delle elezioni tedesche confermeranno le previsioni dei sondaggi che danno in testa il partito socialdemocratico (SPD) e la probabile necessità, per la prima volta nella storia politica della Repubblica federale tedesca, di una coalizione di governo formata non più da due, ma da tre partiti. Né lunedì però né subito dopo sapremo quale coalizione formerà la maggioranza di governo. I negoziati fra partiti prenderanno del tempo, perché esistono in teoria diverse possibili coalizioni e perché il programma di governo viene tradizionalmente rispettato dai partiti politici tedeschi e richiede la definizione di accordi dettagliati e precisi. Sul primo punto vale la pena osservare che nei sedici Laender (regioni) della federazione tedesca sono al governo ben 14 diverse coalizioni. Conosciamo, peraltro, già prima del risultato di domenica alcuni rilevanti tratti caratterizzanti il sistema politico tedesco che possono aiutare a capire la situazione politica del più importante stato membro dell’Unione europea, alcuni dei quali recenti rispetto alle vicende politiche passate.

Il primo è la frammentazione del sistema dei partiti, anche in Germania. Fino a pochi anni fa il quadro politico tedesco era caratterizzato dalla strana formula di un paese con due partiti e mezzo. Nei fatti due grandi partiti il socialdemocratico (SPD) e il cristiano democratico (CDU più la CSU, la sua versione bavarese) e il partito liberale (FDP) piccolo, perciò “mezzo”, ma quasi sempre necessario per la formazione di una maggioranza. Negli ultimi anni i partiti sono diventati 6. Oltre i tre precedenti sono presenti nel Bundestag (la Camera dei rappresentanti) il partito ecologico (i Grüne), Die Linke e Alternative für Deutschland, rispettivamente la sinistra radicale che è uscita dalla SPD e l’estrema destra nazionalista e antieuropea, forte soprattutto nelle regioni dell’est post-comunista.

Il secondo è il ruolo prominente che ha assunto nelle intenzioni di voto la figura del primo ministro, che è in genere il candidato del partito che ottiene il maggior numero di voti. Mentre la frammentazione è il risultato, oltre che delle crescenti preoccupazioni ecologiche, della divisione fra forze moderate (che hanno spesso governato insieme attraverso quelle che vengono chiamate “grandi coalizioni”) e formazioni estreme di destra e di sinistra, la crescita del ruolo del candidato alla cancelleria – particolarmente rilevante nei sondaggi recenti – deriva verosimilmente dal ruolo centrale che Angela Merkel ha svolto in Germania negli ultimi 16 anni durante i quali ha ricoperto la carica di premier.

I sondaggi fanno capire che in passato parecchi voti per la CDU erano voti per Merkel che venivano anche da altri partiti e oggi la crescita della SPD dipende in buona misura dal candidato Scholz considerato competente (è stato il ministro delle finanze di Merkel), affidabile – in Germania si dice che è una persona, come Merkel, dalla quale si comprerebbe senz’altro un’auto usata – e centrista. In questo senso in relativa continuità con la cancelliera. I tedeschi amano la stabilità e la moderazione e ci riescono anche con un sistema parlamentare e una legge elettorale proporzionale. E con dei partiti certo oggi più numerosi ma ancora solidi, a differenza che in Francia o in Italia, dove la stabilità o è forzata dalle regole istituzionali – il presidente francese eletto dai cittadini non è responsabile dinanzi al parlamento – oppure, come da noi, nonostante i vari e diversi sistemi elettorali sperimentati, gli esecutivi fanno molta fatica a trovare stabilità, al punto di dover ricorrere a governi che commissariano in buona misura i partiti politici.

Quale che sia la coalizione che governerà la Germania per i prossimi quattro anni – e le due più probabili sono a tre: SPD, CDU e Verdi o SPD, Verdi e Liberali (ma non si possono escludere altre ipotesi) – sarà una coalizione che si struttura intorno al centro dello spettro politico. La Germania rappresenta in tal modo l’opposto del sistema politico americano, anch’esso stabile, anche se spesso paralizzato, caratterizzato quest’ultimo dall’esistenza di un duopolio partitico e da una forte polarizzazione e conflittualità fra Democratici e Repubblicani. Giunta di recente fino al punto che il partito perdente e i suoi elettori hanno rifiutato di credere alla vittoria del candidato che si opponeva a loro. Il bipolarismo è necessariamente una ricetta per la stabilità.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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