Quasi un’ecatombe per gli aspiranti avvocati con quasi il 70% dei bocciati. La Corte d’Appello di Napoli ha reso noti ai praticanti gli esiti dell’esame sostenuto lo scorso mese di dicembre. Gran parte dei candidati all’abilitazione forense è stata considerata inidonea allo svolgimento della professione. Gli ultimi risultati dell’esame di abilitazione di avvocato rappresentano la punta dell’iceberg di un meccanismo più generale che mortifica e umilia una professione dalle nobili origini e funzione sociale (rectius, costituzionale o social-costituzionale) di tutela dei diritti necessaria e insostituibile in uno Stato democratico, ma che necessita con imminente urgenza di una strutturale e sostanziale revisione.

Le più recenti innovazioni in merito alla figura dell’avvocato specialista costituiscono di certo un passo in avanti e un orgoglio per la categoria, dal momento che l’attività generalista ha sempre meno senso in un contesto in cui l’asimmetria informativa tra professionisti e clienti si traduce spesso in un fallimento del mercato dei servizi legali. La specializzazione e un’adeguata organizzazione del coordinamento tra le diverse specializzazioni tra studi legali contribuisce ad aumentare la qualità dell’offerta, riducendo gli effetti negativi dell’asimmetria informativa anche attraverso l’uso di tecnologie dirette alla semplificazione. Tuttavia, ciò non è sufficiente, la professione forense vive da decenni in un regime transitorio che ormai è divenuto definitivo e rappresenta l’emblema della debolezza di una categoria che non riesce a imporre alle forze politiche un’autoriforma necessaria. Occorrerebbe partire dalla revisione delle modalità di accesso alla professione che attualmente si caratterizzano per uno scarso livello di certezza e di meritocrazia, caratteri, invece, profondamente auspicati e meritati da chi ha svolto un percorso universitario non certo breve e semplice come quello dei laureati in giurisprudenza.

L’ingresso nel mondo della professione forense avviene oggi a seguito di un periodo di praticantato, di frequente remunerato poco o nulla, la cui formazione è quasi di completo monopolio delle scuole private, sulle quali, invece, dovrebbero imporsi per autorevolezza, serietà, rigore ed egualitarismo le scuole forensi, molto spesso poste in secondo piano. Inoltre, il funzionamento stesso della procedura d’esame è basato su criteri molto spesso dettati dal caso, lasciando nell’incertezza e nel disagio i candidati obbligati ad affrontare un’alea non tipica e normale di un concorso pubblico, ma spinta al massimo dell’ingestibilità. Gli esiti per i praticanti napoletani sono tutto fuorché incoraggianti. La prima prova è stata superata dal 30% dei candidati (risultato molto basso rispetto alla media nazionale), mentre al restante 70% toccherà attendere un altro anno (forse, data l’incertezza anche su tale dato) per poter rifare l’esame e riprovare ad accedere alla professione.

Le prove scritte del concorso per l’abilitazione, infatti, vengono svolte in tre giorni di ogni mese di dicembre e vengono corrette con il metodo dell’incrocio delle Corti d’Appello e l’esito dipende oltre che dall’andamento della prova anche dal grado di rigidità della commissione. Per la stragrande maggioranza dei partecipanti il sogno di diventare avvocato termina qui, dovendo attendere il prossimo dicembre per riprovare e la prossima estate per ricevere i risultati. L’ingresso nel mondo del lavoro per i giovani in questa fase storica sta diventando una vera e propria chimera non solo con riguardo ai concorsi nella pubblica amministrazione, a seguito dei quali il candidato ottiene un impiego a tutti gli effetti, ma anche con riguardo a un concorso che non è volto ad ottenere un lavoro, ma solo la possibilità di svolgere una libera professione e quindi di crearsi il lavoro con le proprie mani.

L’avvocatura napoletana ha origini molto antiche e la classe forense napoletana è tra le prime che, anche nei tempi più difficili, si è schierata a difesa di quegli ideali di libertà e indipendenza indispensabili per l’adeguato svolgimento di un così elevato compito. Il termine avvocato deriva dal latino “ad vocatus”, colui che è “chiamato vicino”, a tutela dei diritti fondamentali e di libertà e del cittadino. Il diritto di difesa è sancito nell’articolo 24 della nostra Costituzione che ne prevede l’irrinunciabilità in ogni stato e grado del processo. L’avvocato, dunque, svolge una funzione di rilevanza sociale attraverso la quale si concretizza e si attua lo Stato di diritto.

Ci si augura che le nobili origini e la significativa storia dell’avvocatura, specialmente quella napoletana, non siano messe in disparte e abbandonate nell’oblio delle biblioteche e dei tribunali, ma rappresentino la guida per riaffermare una figura professionale in grado, soprattutto nell’attuale contesto di crisi di valori, di ristabilire mediante la tutela giurisdizionale dei diritti, la democrazia, la libertà e la responsabilità, elementi essenziali per la rinnovamento e l’evoluzione delle nostre comunità. Al fine di concretizzare tutto ciò, occorre che nel giro di pochi mesi venga attuata quella riforma da più parti auspicata per non sprecare il potenziale dei giovani di grande rilevanza per la società e per impedire che il regime transitorio da definitivo si tramuti addirittura in cronico, con conseguenza devastanti per la nostra società.