Il focus sul corridoio di Zangezur
Esodo dal Nagorno-Karabakh: la fuga degli armeni e i dubbi sul futuro del Caucaso
La facilità con cui Baku ha ripreso la regione e l’evidente difficoltà di Erevan di ricevere un supporto effettivo da parte del resto del mondo pongono degli inevitabili punti interrogativi sul suo futuro strategico
Dopo l’operazione “antiterrorismo” realizzata dall’Azerbaigian per riprendere il controllo del Nagorno-Karabakh, è iniziato l’esodo di migliaia di armeni in fuga dalla regione. Secondo Erevan, dall’enclave separatista sono fuggiti circa 19mila sfollati, che hanno attraversato la frontiera in attesa di capire quale possa essere il loro destino. Le foto di ieri, che mostravano centinaia di automobili cariche di bagagli in coda per raggiungere l’Armenia attraverso il corridoio di Lachin, sono l’immagine più eloquente della disperazione di migliaia di persone. Come se non bastasse, l’esplosione di un deposito di carburante ha provocato la morte di 20 persone e il ferimento di altre 280 e i separatisti hanno comunicato che non è stato possibile salvare molti pazienti che erano riusciti ad arrivare in ospedale.
Nonostante le rassicurazioni di Baku, che ha garantito il rispetto dei diritti degli abitanti del Nagorno Karabakh come di qualsiasi cittadino azero, sono in molti a chiedersi quale sia il futuro che attende quella terra.
A Bruxelles è avvenuto un primo incontro tra i consiglieri diplomatici dell’Armenia (che ufficialmente è esclusa dall’operazione lampo azera in Nagorno-Karabakh) e dell’Azerbaigian. Caterina Ecasinge, portavoce del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha detto che il vertice “ha permesso intensi scambi tra i partecipanti sulla rilevanza di un possibile incontro dei leader nel quadro del terzo vertice Epc previsto per il 5 ottobre a Granada” e ha confermato che entrambi i governi si sono impegnati nel “continuare i loro sforzi di normalizzazione”. Partita che appare ardua, complice anche il delicato equilibrio del Caucaso ma soprattutto l’evidente posizione di forza di Baku rispetto a quella di Erevan. Le truppe azere, con l’operazione che ha reso possibile prendere il controllo del Nagorno-Karabakh e provocato la resa delle forze separatiste, hanno mostrato – come già nel 2020 – indubbie capacità militari. Ed è chiaro che ora il governo armeno si trovi a dover gestire non solo gli sfollati ma anche un cambiamento repentino negli equilibri di forza, visto che l’enclave in territorio azero rappresentava di fatto una leva negoziale nei confronti del vicino.
In tutto questo si innesta anche il grande punto interrogativo degli equilibri internazionali, oltre che regionali, successivi a questa operazione. Con Mosca che ha fatto capire di non potere impedire l’avanzata di Baku nella regione nonostante la presenza dei peace-keeper russi e l’alleanza (pur sempre più debole) con l’Armenia, a ergersi come il vero leader della regione è il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che ha costruito con l’Azerbaigian un’alleanza sempre più solida improntata dalla comunanza etnica e culturale. Il Sultano ha dichiarato che con la vittoria di Baku “si aprono nuove prospettive per la normalizzazione generale nella regione” e ha detto di aspettarsi che “l’Armenia afferri la mano della pace che le viene tesa e adotti passi concreti per ripristinare la pace nella regione”.
Molti osservatori temono che l’appoggio turco all’operazione azera sia solo il primo passo verso quello che interessa davvero Ankara: il corridoio di Zangezur. Questo passaggio terrestre è quello che unisce (o meglio, unirebbe) la Repubblica autonoma di Nakhchivan, exclave sudoccidentale azera, al resto dell’Azerbaigian. L’unione fisica del Nakhchivan con la madrepatria non solo escluderebbe l’Armenia dal confine con l’Iran, ma unirebbe la Turchia direttamente all’Azerbaigian, dal momento che la prima confina con la repubblica autonoma attraverso un sottile ma pur sempre esistente corridoio terrestre.
Al momento si parla solo di scenari. Tuttavia, la facilità con cui Baku ha ripreso il Nagorno–Karabakh e l’evidente difficoltà di Erevan di ricevere un supporto effettivo da parte del resto del mondo pongono degli inevitabili punti interrogativi sul futuro strategico della regione. Gli Stati Uniti, intanto, sembrano intenzionati a creare una missione internazionale per controllare che siano rispettati i termini degli accordi di pace e gli impegni assunti da Baku nei confronti dei civili armeni. A dirlo è stato il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, che ha fatto seguito a una richiesta sollevata dal ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Da Mosca invece continuano a ribadire che l’Occidente vuole sfruttare il conflitto, e l’Armenia, per colpire la Russia nel Caucaso meridionale.
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