Il caso di Lorenzo Tondo per la Federazione Europea dei Giornalisti è "intimidazione"
Falegname scambiato per trafficante di migranti: giornalista scopre il pasticcio e il pm lo querela
Lorenzo Tondo non potrà seguire il processo d’appello sul “caso Mered”, iniziato il 27 ottobre: un clamoroso scambio di persona che ha visto protagonista un falegname eritreo, preso un pericoloso tra i più potenti e noti organizzatori del traffico di migranti dalla Libia. La Piattaforma del Consiglio d’Europa per la protezione del giornalismo e la sicurezza dei reporter ha indicato come una potenziale “intimidazione” le querele per diffamazione in sede civile presentate dal sostituto procuratore di Palermo, Calogero Ferrara, nei confronti del corrispondente per l’Italia Meridionale del Guardian, Tondo. Il procuratore Ferrara nel frattempo è diventato procuratore delegato nella nuova “procura europea”. Al Guardian ha dichiarato di aver chiesto al suo legale di commentare la vicenda.
Due le cause civili notificate al giornalista, tra dicembre 2019 e gennaio 2020, per diffamazione: una per un suo post su Facebook e un’altra per i suoi articoli pubblicati sul Guardian. Con Tondo citata in giudizio anche Romina Marceca, giornalista di Repubblica. Il corrispondente aveva seguito il caso, e realizzato un’inchiesta, sull’arresto del giovane eritreo Medhanie Tesfamaria Behre per traffico di esseri umani. Un clamoroso errore giudiziario sul quale Tondo aveva scritto, mettendo in dubbio i cardini delle acquisizioni giudiziarie. Il giudice Alfredo Montalto, nel luglio 2019, ha quindi respinto il caso dei pubblici ministeri contro Berhe e ha ordinato l’immediato rilascio. Per i giudici le accuse dei pubblici ministeri “apparivano palesemente inconsistenti e inadeguate”.
L’uomo estradato in Italia nel 2016 dal Sudan non era quindi, come sostenevano le polizie di cinque Paesi, Medhanie Yedhego Mered, conosciuto e ricercato come “il generale”, e ancora ricercato, ma Medhanie Tesfamariam Berhe, un profugo che di mestiere faceva il falegname. Dopo che questi aveva trascorso tre anni in carcere, la corte d’assise di Palermo ne decise il rilascio, stabilendo che si era trattato di uno scambio di persona. Di tutti i capi d’imputazione contro il giovane falegname ne è sopravvissuto uno: favoreggiamento dell’immigrazione illegale in quanto il ragazzo aveva aiutato un cugino a emigrare. E per questo condannato a cinque anni.
Nel corso del processo, come ricostruisce Avvenire, avevano testimoniato i parenti del malcapitato e perfino la moglie del vero trafficante internazionale aveva scagionato il giovane eritreo. Il giornalista stesso è stato intercettato dalla procura siciliana e le trascrizioni sono state depositate agli atti. In quelle telefonate Tondo parlava con una sua fonte riservata per ricostruire la dinamica dell’errore investigativo. E non è la prima volta che accade con i giornalisti che si occupano delle rotte migratorie.
“Il Consiglio d’Europa ha registrato un caso di intimidazione da parte del procuratore siciliano con delega europea, Calogero Ferrara, nei miei confronti – ha scritto sui social il giornalista – La segnalazione, promossa dalla Federazione Europea dei Giornalisti, è stata inserita nella categoria ‘persecuzioni e intimidazioni nei confronti dei cronisti’ attribuibili allo Stato. Dopo che, con il Guardian, avevamo dimostrato che la Procura di Palermo aveva arrestato un rifugiato per errore, scambiandolo per uno dei più potenti trafficanti di uomini, ancora oggi a piede libero e che la Corte d’Assise aveva confermato la nostra tesi con l’assoluzione dell’imputato per acclarato errore di persona. Dopo essere finito personalmente nelle carte del processo, intercettato mentre parlavo con una mia fonte, e le mie conversazioni depositate nel processo che stavo seguendo per il Guardian. Dopo tutto questo, Ferrara cita me e Romina Marceca di Repubblica in giudizio in sede civile per diffamazione”.
“Secondo il Consiglio d’Europa – continuava Tondo – questa mossa denoterebbe un uso malevolo dello strumento giudiziario, non più volto ad ottenere giustizia ma a mettermi un bavaglio, perché da quando è iniziata tutta questa vicenda giudiziaria, per ragioni di ‘prudenza’ non ho più potuto scrivere sul caso ‘Mered’ per il Guardian. Non solo, la citazione in giudizio arriva a pochi mesi dalla sentenza di appello del processo Mered. Quando lavori ad un’inchiesta, quando ci metti il cuore, veramente, essa ti seguirà fino alla fine dei tuoi giorni. Nel bene e nel male. Perché se da un lato essa ha avuto un impatto positivo su una o più persone, dall’altro, irrimediabilmente, quell’inchiesta avrà dato certamente fastidio a qualcuno. Avrà scombussolato i suoi piani. Li avrà magari stravolti”.
“Io sono di certo un privilegiato, perché posso contare sul supporto legale del Guardian. Ma penso a tutti quei cronisti, precari, sottopagati, costretti a fare i conti con le querele temerarie in giro per l’Italia, senza alcun appoggio. Questa battaglia che porteremo avanti è anche per loro. Perché siamo stanchi delle vostre intimidazioni. Siamo stanchi di guardarci le spalle da chi dovrebbe proteggerci – concludeva il giornalista – Perché se voi, uomini dello stato, sbagliate, io, da cronista, voglio e devo sentirmi libero di scriverlo, di parlarne. Ringrazio l’avvocato del Guardian in questa causa, Andrea Di Pietro, ringrazio la European Federation of Journalists – EFJ per il loro appoggio, e tutti i colleghi che hanno fatto scudo in questi giorni”.
Alberto Spampinato, direttore di Ossigeno per l’informazione, organizzazione che difende i diritti dei giornalisti ha dichiarato come “criticare un pm in Italia è rischioso. Se un giornalista osa farlo, è probabile che il pm lo querelerà per diffamazione e lo costringerà a difendersi in tribunale e a sostenere le relative spese. Eventi di questo tipo non sono rari e mettono in seria difficoltà i giornalisti. Ossigeno per l’informazione continuerà a sostenere Lorenzo Tondo in questa battaglia legale e continuerà a farlo, al fianco del Guardian e della community dei giornalisti europei”.
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