Il caso ha voluto che proprio nei giorni della “celebrazione” del trentennale del Trattato di Maastricht, si accentuassero i problemi dell’inflazione (oltre il 5 per cento nell’Eurozona e il 4,8 in Italia), della produzione industriale in caduta a gennaio (-1,3 per cento), dei sostegni pubblici, delle prospettive della politica monetaria, degli spread Btp-Bund che, a un certo punto, sono arrivati a 170 punti base per poi regredire, ma senza fare escludere a osservatori ed esperti che potrebbero arrivare a 200 punti se non vi sarà una netta inversione dovuta a un diverso quadro economico e finanziario.

Certo, ha contribuito una non sufficiente chiarezza della politica monetaria della Bce: si è passati dalla percezione di un possibile irrigidimento delle relative misure a marzo, dopo la verifica dei dati economici, all’esclusione, subito dopo, di interventi del genere che la presidente Christine Lagarde ha sottolineato nell’audizione davanti all’Europarlamento. Il Governo potrebbe adottare nuovi sostegni per il caro-bollette. Vi è chi ipotizza che, dopi i 5 miliardi stanziati per il primo trimestre, si deciderebbero ulteriori 5 miliardi per i mesi successivi. Ma il “punctum dolens” è lo scostamento di bilancio. In effetti, 5 miliardi da deliberare senza intervenire sul bilancio rappresentato una apporto inadeguato, mentre si profila un incremento del Pil nell’anno intorno al 3,8 per cento lontano dal 4,7 stimato nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e Finanza.

Il fatto è che bisogna uscire dalla logica delle bollette. Occorre un piano organico riguardante il modo in cui affrontare, mentre si allenta la pandemia anche se non bisogna cantare vittoria, il periodo che ci separa dalle prossime elezioni politiche. Gli aiuti, i ristori sono necessari, ma occorrono anche misure strutturali che si raccordino con quelle, adottate e da adottare in una prospettiva di lungo periodo, del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Quest’ultimo non basta. Nell’attuale contesto, le iniziative da assumere, però, comportano certamente l’esigenza di varare un nuovo scostamento di bilancio. La tesi del “ debito buono” e del “ debito cattivo” va adattata alla nuova situazione. È in questa fase molto più difficile di quella precedente che il Governo è chiamato a dimostrare le proprie capacità, promuovendo, tra l’altro, un raccordo tra politica economica e politica monetaria. Accanto a questo prioritario impegno vi è quello della revisione in sede europea del Patto di stabilità.

Rievocando la firma, apposta il 7 febbraio 1992, del Trattato di Maastricht, l’allora Ministro del Tesoro, Guido Carli, disse, qualche tempo dopo, che, prima di sottoscrivere, gli era tremata la mano. Tre anni prima, lucidamente prevedendo dove si sarebbe arrivati, il grande Governatore Paolo Baffi aveva indicato, in un articolo sulla Stampa pubblicato poco prima di morire, le incongruenze e gli esiti non auspicabili di un’Unione solo monetaria, previsioni puntualmente avveratesi. Con il Trattato, comunque, si dava vita alla moneta unica e al Sistema europeo di banche centrali, si introducevano i parametri per deficit (3 per cento del Pil) e debito (60 per cento del Pil), si adottavano norme per la cooperazione, la sicurezza, la giustizia.

Ma tutto ciò avveniva riconoscendo piena agibilità, poi ricordata da Carli, alle politiche interne nazionali, condizione, questa non rispettata perché nel 1997, con un Accordo intergovernativo si rafforzavano, sì, gli obblighi per la stabilità, ma si introduceva una serie di limitazioni e controlli, nonché di possibili sanzioni per le politiche in questione. Un Accordo che un grande giurista qual era Giuseppe Guarino considerava confliggente con il Trattato. Al Patto di stabilità sono seguiti, poi, altri Accordi, il Two Pack, il Six Pack e, da ultimo, il Fiscal compact che ha sancito il pareggio di bilancio (poi entrato nella nostra Costituzione) e ha stabilito l’obbligo della riduzione, ogni anno, di un ventesimo della parte eccedente il 60 per cento del rapporto debito-Pil. Anche sul Fiscal compact, la cui denominazione è dovuta a una proposta dell’allora presidente della Bce, Mario Draghi che ne era entusiasta, sono state prospettate censure per il contrasto con i Trattati fondativi dell’Unione.

Si pone, in particolare, il problema se un accordo intergovernativo possa derogare, anche per contenuti più restrittivi, a un Trattato. La partecipazione dell’Italia all’Unione monetaria ed economica sin dalla prima fase era avvenuta senza quantomeno avviare quelle riforme che avrebbero messo in condizione l’Italia di non essere un vaso di coccio costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro: l’immagine manzoniana fu utilizzata all’epoca dal Governatore Antonio Fazio il quale non era contrario alla moneta unica, anzi diede un apporto decisivo per ottenere il parere favorevole all’ingresso da parte dell’Ime, il genitore della Bce, ma vedeva i gravi rischi della partecipazione all’integrazione senza riforme e temendo l’effetto “bradisismo economico” poi puntualmente verificatosi: l’Italia, quando le altre principali economie crescono, quella italiana cresce meno e quando arretrano la nostra economia arretra molto di più.

Il Patto di stabilità, alla luce della non esaltante esperienza di venticinque anni, va rivisto, innanzitutto perché sia un patto realistico e ragionevole, fondato sui principi della proporzionalità e della sussidiarietà e non sia espressione di una visione miopemente rigoristica. Non sarà facile, considerata la posizione dei Paesi “frugali” e della stessa Germania, anche se dal suo nuovo governo viene qualche molto cauta apertura. Gli investimenti pubblici vanno esclusi dal vincolo del pareggio di bilancio; i parametri devono essere rivisti, conseguentemente il Fiscal compact andrebbe abrogato; un raccordo deve essere attuato con il progetto di Unione bancaria ancora in mezzo al guado, con la conseguenza che si abbandonano le misure nazionali, ma non si afferma una vera partecipazione alla sovranità europea. Esistono diversi progetti per una netta rivisitazione del Patto di stabilità. Ora bisogna scegliere ed agire, da parte del Governo, per ricercare le necessarie alleanze in sede europea sulla base di un organico progetto. È, questo, il modo migliore per “ celebrare” il trentennale di Maastricht.