Fino al 3 febbraio gli esponenti della Bce avevano ribadito, con qualche marginale eccezione, il carattere transitorio dell’inflazione e la previsione del suo rientro nell’ultima parte dell’anno in corso. All’esterno della Banca centrale cominciavano, però, a registrarsi i primi “distinguo” con opinioni meno ottimistiche in proposito, al di là dei rigoristi, i cosiddetti Paesi frugali. A gennaio, tuttavia, l’inflazione nell’Eurozona ha raggiunto il 5,21 per cento e in Italia, il 4,8. Come è noto, alla Bce è stato conferito dal Trattato Ue il mandato per il mantenimento della stabilità dei prezzi, intesa come conseguita con il livello del 2 per cento “simmetrico”: lo scostamento, secondo una prospettiva di non breve termine, in alto o in basso rispetto a questo target fa scattare l’obbligo per l’Istituto di operare per la riconduzione al livello in questione in nome della stabilità monetaria.

Al momento non siamo in tale situazione, anche perché si conferma la previsione di una riduzione nell’anno dell’aumento dei prezzi che – si ricordi -. è dovuto all’aumento dei prezzi dei beni energetici, al non adeguato funzionamento delle catene di approvigionamento dei prodotti, all’impatto sui beni alimentari, al rimbalzo dopo la fase acuta della pandemia. Finora non si sono verificati significativi effetti di secondo livello – che sono quelli che avrebbero una pronta risposta restrittiva da parte della Bce – quali potrebbero essere i riflessi sui salari, per un loro aumento. Ciononostante, il Consiglio direttivo della Banca centrale, nella seduta del 3 febbraio, si è unanimemente dimostrato preoccupato per l’inflazione dimostrandosi così il venir meno delle certezze sulla transitorietà del fenomeno, anche se ha escluso l’immediatezza di manovre restrittive sui tassi di interesse.

Si è, però, detto pronto ad adeguare tutti gli strumenti che portino alla stabilizzazione dei prezzi intorno al 2 per cento. A questo punto, è lecito chiedersi se non vi sia stato un eccessivo ottimismo nei mesi scorsi nelle previsioni rinunciando così a un atteggiamento proattivo da parte della Bce. Se nella storia non lunga di quest’ultima vi sono state fasi nelle quali si sono decise manovre restrittive quando era errato farlo – si pensi al 2011 con ancora alla presidenza Jean Claude Trichet che però decise con l’assenso di tutti i membri del Direttivo, ivi compreso il Governatore della Banca d’Italia, all’epoca Mario Draghi – è altrettanto possibile che si possa sbagliare in senso inverso, ma allora occorrerebbe correggere prontamente. Non può esistere, anche per il banchiere centrale, uno status di autonomia e indipendenza senza responsabilità. Il Direttivo ha stabilito, comunque, di attendere i dati di marzo – quando, tra l’altro, avrà la prevista fine il programma pandemico di acquisto di ti titoli, Pepp – per prendere una decisione. Con maggiore cautela ora si ipotizza l’avvio, nell’anno, del rientro dell’inflazione, mentre al di fuori della Bce qualcuno formula addirittura l’ipotesi della stagflazione. Subito dopo la riunione del 3 febbraio gli spread Btp-Bund sono balzati a 150 punti base, da un livello precedente sotto i 140. Insomma, il tema-inflazione sta acquistando centralità.

Una eventuale riduzione del carattere accomodante della politica monetaria colpirebbe il finanziamento dei Tesori degli Stati e il sostegno a famiglie e imprese; d’altro, canto una riduzione dell’inflazione conseguente alle variazioni nella politica monetaria avrebbe un effetto meno pesante sui bilanci delle famiglie e, in particolare, sulla situazione dei meno abbienti, essendo l’inflazione di fatto, come si dice, la “tassa” più iniqua. Discenda da ciò , per contemperare, bilanciandole, entrambe queste categorie di effetti, l’esigenza di un raccordo tra le politiche economiche e di finanza pubblica e la politica monetaria. Ciò a maggior ragione ora che le previsioni della crescita nell’anno cominciano a essere riviste al ribasso: l’Ufficio parlamentare del bilancio stima un aumento del Pil del 3,9 nell’anno a fronte del 4,7 indicato a ottobre dal Governo nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza. Non basta l’impegno per portare all’attuazione gli impegni del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), conseguendo nell’anno i 100 obiettivi fissati, con “a latere” le fondamentali riforme del fisco, della giustizia, della concorrenza, della previdenza, dell’amministrazione pubblica, della previdenza e degli ammortizzatori sociali, un insieme che fa pensare a un’intera legislatura, non a un anno circa di vita del Parlamento attuale.

Eppure si tratta di una sfida da cogliere. Occorre anche pensare alle misure da adottare, a cominciare da quelle in materia di prodotti e forniture energetici, raccordandosi con le strutture competenti dell’Unione. Va pure affrontata la questione-risparmio per un impiego produttivo di quello, ingente, formatosi soprattutto a motivo della pandemia, e giacente nei conti correnti delle banche. È necessario un programma di misure per questa fase che si colleghino con quelle strutturali del Pnrr, comportando comunque un nuovo scostamento di bilancio. Naturalmente, ciò presuppone una coerenza di comportamenti e una coesione da parte dei partiti della maggioranza, cosa non scontata in un anno pre-elettorale, come si è visto a proposito delle misure antipandemiche allentate per le scuole. L’onere dell’azione per la stabilità al quale la politica monetaria, operando su freno e acceleratore come diceva Guido Carli, non può sottrarsi, deve trovare una sponda solida nelle politiche dei Governi.

In Italia, dopo i 55 applausi e le standing ovation tributati a Sergio Mattarella a Montecitorio, si tratta ora di dimostrare che si è pienamente inteso il significato dei passaggi del discorso applauditi e che si ha consapeviolezza degli obblighi e dell’agire conseguente. Quanto avvenne con la seconda presidenza di Giorgio Napolitano, dopo i numerosi applausi in Parlamento, induce, però, perplessità e dubbi. Nel caso del discorso di Mattarella, molti dei “plauditores” probabilmente non torneranno in Parlamento dopo le votazioni del prossimo anno che eleggeranno un numero minore di parlamentari. Ma ripetere il comportamento “post festum” che si tenne dopo il reincarico a Napolitano sarebbe un inaccettabile “bis in idem”. Comunque, la principale responsabilità sarà a carico del Governo, che sarà giudicato dai fatti concreti, non da aprioristiche medaglie (tutte da valutare) di primi della classe, a maggior ragione dopo la “contesa” del Quirinale che ha infranto le aspirazioni di Draghi, ma ha trovato la soluzione migliore possibile, superiore per qualità e capacità a tutte le ambizioni troppo frettolosamente coltivate.