Tra i tanti temi che concorrono a fare del tempo che stiamo vivendo una stagione malinconicamente protesa verso il passato, generalmente mitizzato, c’è quello del finanziamento ai partiti. Siamo sommersi da dichiarazioni di pentimento o da dichiarazioni generiche del tipo: “la politica ha un costo e deve essere finanziata”. Verissimo, ma il punto è: come, da chi, secondo quali regole? Delle regole, stranamente, non si cura nessuno. Tuttavia, non si può parlare di reintrodurre un finanziamento pubblico diretto (perché anche il 2 per mille – altra cosa ignorata dai più – è un finanziamento pubblico: sono soldi che lo stato storna dalle tasse sulla base della volontà espressa dal contribuente) senza chiarire con quali regole e modalità. Né si può pensare che il finanziamento pubblico debba essere totalmente sostitutivo di quello dei privati, per ragioni essenzialmente politiche. Proviamo a mettere un po’ di ordine nel ragionamento. I problemi sono tre: a quali soggetti va erogato il finanziamento; in quale forma; come si disciplina il finanziamento libero dei privati.

a) Il primo punto è il più importante. Non si può pensare di tornare al finanziamento diretto senza una legge che disciplini l’istituzione-partito, definendo controlli di legalità e criteri di trasparenza. Si tratta di attuare l’art. 49 della Costituzione, cosa della quale si discute da decenni, senza che però si sia mai arrivati a una conclusione. Da una parte ci sono stati i dubbi dei giuristi sulla natura privatistica dei partiti, dall’altra il chiaro interesse di questi ultimi a non avere controlli (per esempio sull’applicazione dello statuto che si sono liberamente dati, o sull’applicazione delle decisioni degli organi dirigenti; per esempio sulla distribuzione delle risorse tra centro e periferia, o tra maggioranza e minoranze interne; eccetera). Ora però, come non si manca mai di ricordare, i partiti in Italia hanno rango costituzionale, non possono essere considerati come semplici associazioni private, come nei paesi anglosassoni. Questo rango costituzionale richiederebbe una conseguente assunzione di responsabilità.  Certo i partiti devono essere liberi di darsi le proprie regole interne; ma queste regole interne devono essere coerenti con le leggi in generale, e con una legge che non c’è ma che dovrebbe costituire il quadro esterno nel quale ogni partito si muove poi liberamente. E dovrebbero essere vincolanti, non evase quando fa comodo. Noi abbiamo avuto e abbiamo ancora casi di partiti privi di organi democratici e dunque di processi pubblici di formazione della volontà politica. Per dirla tutta, il Movimento 5stelle è libero di usare la piattaforma Rousseau per le sue deliberazioni, ma dovrebbe renderne l’uso realmente democratico, definendone im modo stabile modalità, limiti, soglie ecc.

b) Il secondo punto è come concretamente si può configurare il finanziamento pubblico. L’affermazione che esiste in tutti i grandi paesi europei è mistificatoria. Solo in Francia c’è un finanziamento diretto, ma non tuttavia senza regole: da qualche anno, il mancato rispetto delle quote di genere comporta pesanti sanzioni. Nel Regno Unito il finanziamento è minimo e si riferisce sostanzialmente all’opposizione parlamentare. Sono poi previsti servizi gratuiti, come spazi per riunioni, tariffe postali, passaggi televisivi ecc. Una via, quest’ultima, che sarebbe senz’altro da seguire. In Germania, la mitica Germania dove il finanziamento è molto elevato, si segue però una via mista: una parte del contributo statale è proporzionale ai voti ricevuti, ma un’altra parte è equivalente ai contributi privati ricevuti dal partito, per premiarne la capacità di costruire consenso e il radicamento tra i cittadini (fonte: il Sole24ore, lo trovate su Google). Dunque finanziamento pubblico e privato, lungi dall’essere considerati in contrapposizione, sono messi in armonia. Proprio il contrario di ciò che avviene in Italia.

c) E qui vengo al terzo punto, che è il più dolente. Noi stiamo demonizzando il finanziamento di privati in un modo che è francamente vergognoso, perché fondato – secondo un andazzo che purtroppo in questa fase è dominante – sul sospetto preliminare e indiscriminato.  Quello che sta avvenendo sulla Fondazione Open è illuminante, e anche sconvolgente. Non è dato che qualcuno possa dare un contributo a un esponente politico perché pensa che la sua attività sia utile al paese; o che abbia forti convinzioni politiche e voglia esprimerle anche così. No, ci dev’essere sicuramente un interesse malvagio, un dolo, una corruzione. Del resto, non è stato forse uno dei nostri più autorevoli magistrati a dichiarare che i politici sono tutti corrotti? Per concludere: anzitutto definiamo per legge che cosa sono i partiti e che cosa sono le fondazioni; eliminiamo un reato assurdo come il traffico d’influenza; rivendichiamo la liceità e magari anche la nobiltà del finanziamento dei privati alla politica; e poi scegliamo una modalità di finanziamento che, a differenza del passato, non favorisca la chiusura dei partiti nelle loro segrete stanze ma invece ne favorisca l’apertura e l’esercizio di quella responsabilità verso la società che la costituzione ha loro assegnato. Non se ne farà niente, ovviamente, e la politica continuerà ad affondare nella melma. Non quella della corruzione, ma quella del sospetto.

Claudia Mancina

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