A vent’anni dal G8, dai fatti di Genova, dalla morte di Carlo Giuliani, parlano il padre del manifestante ucciso e l’uomo, il carabiniere che ha esploso due colpi verso il 23enne. Una sorta di incontro a distanza, quello proposto da AdnKronos in due diverse interviste. Giuliano Giuliani in qualche modo racconta come anche Placanica sia stato una vittima di quel caos, di quella tragedia. Però non ha intenzione né desidera incontrare l’ex militare Mario Placanica. Quest’ultimo invece vorrebbe. “Vorrei incontrare il papà di Carlo – ha confessato – per dirgli che mi dispiace, che io li sostengo. Anche se molti mi criticano dicendo che non posso sostenere chi ha cercato di ammazzarmi. Ma io sostengo la famiglia, perché nessuno sa che significa perdere un figlio”.

Dal 20 al 22 luglio capi di Stato e di governo delle maggiori potenze mondiali si incontrarono a Genova. Furono giorni di manifestazioni e contestazioni, in maggioranza pacifiche, che finirono però nel sangue. Un luogo e una data nella storia della Repubblica Italiana con la quale il Paese non ha mai smesso di fare i conti. A 20 anni quel bagno di sangue è ricordato soprattutto per tre tragedie: le irruzioni alla scuola Diaz, le violenze alla caserma di Bolzaneto e la morte di Carlo Giuliani. Un manifestante che aveva 23 anni. Una foto lo riprese con il volto coperto da un passamontagna mentre solleva un estintore davanti a una Land Rover Defender dei carabinieri. Piazza Alimonda. Era il 20 luglio ed era puro caos. Placanica aprì il fuoco. Giuliani non ebbe scampo. Il carabiniere è stato prosciolto sia dalla giustizia italiana che da quella europea: legittima difesa.

Il dolore di Giuliano Giuliani

“In qualche modo sono entrambi delle vittime – ha detto Giuliano Giuliani all’AdnKronos – anche perché io, se devo fare l’elenco dei responsabili dell’omicidio di Carlo, Placanica lo colloco all’ultimo posto. Al primo ci sono quelli che comandavano quel reparto, i due carabinieri ufficiali, che poi hanno fatto una carriera spettacolosa, e il vicequestore che per la polizia ‘associava’ il reparto. Perché la domanda ovvia è questa: se la camionetta viene assaltata, per usare una parolona, da cinque, sei, sette ragazzi, è possibile che a nessuno di quelli che comandavano sia venuto in mente di dire ai cento carabinieri che stavano a 10 o 15 metri di distanza, ‘andiamo a difenderla’? E allora i primi responsabili dell’omicidio di Carlo sono proprio coloro che comandavano quel reparto”.

Per il padre del manifestante morto “é una stupidaggine” che i fatti della Diaz e di Bolzaneto e la morte di Giuliani abbiano causato una rimozione del ricordo delle violenze dei manifestanti. “La città è stata messa a ferro e fuoco da gruppetti di due o tre persone alla volta, i cosiddetti Black Bloc, che vengono lasciati liberi di farlo. Ci sono le telefonate, non soltanto della polizia e dei carabinieri, ma di moltissimi cittadini che denunciano questa cosa e che allarmati e anche un po’ arrabbiati indicano dove si trovano i violenti, ma poliziotti e carabinieri, a poca distanza, non intervengono. L’ordine era di lasciarli fare perché così aumentava nella popolazione, molto ingenua e in qualche caso persino stupida, la convinzione che quelli fossero i violenti che avevano organizzato le manifestazioni. E a nessuno è venuto in mente di dire che un indegno reparto che attaccò senza nessuna ragione il corteo delle Tute bianche, che era autorizzato e non aveva fatto assolutamente nulla di illecito. Un chilometro prima che arrivasse a Brignole venne assaltato, e lì cominciarono i disastri che portarono all’assassinio di Carlo”.

A Mario Placanica Giuliano Giuliani non direbbe assolutamente niente, neanche oggi. “Per carità, non voglio fare questi incontri, la cosa non mi interessa. Io vorrei soltanto che i responsabili rispondessero finalmente delle loro colpe, e invece non è così. Sono tutti stati promossi. C’è persino un ufficiale che in un processo ai manifestanti è venuto a testimoniare parlando di ‘guerra’. L’avvocato lo ha interrotto facendogli notare che non si parla di guerra, ma di ordine pubblico, e l’ufficiale è arrivato a dire che ‘guerra’ e ‘ordine pubblico’ sono la stessa cosa e cambiano solo gli strumenti dell’offesa. Ecco, quest’ufficiale non è stato sottoposto a un esame psichiatrico, no, è stato promosso. Così come molti dei condannati. Voglio ricordare che uno dei presidenti del Consiglio che passò per essere una delle persone più sobrie, parlo di Mario Monti, nominò uno di quelli responsabile all’interno del ministero. Robe penose, molto penose, che testimoniano di uno Stato che deve fare ancora tanta strada per essere uno Stato degno di questo nome”.

La versione di Placanica

“Quel giorno per me resta un trauma, trauma per la morte di un ragazzo come me, anche lui vittima in quel giorno tragico. Io non sono un carnefice, non sono un giustiziere. Quel giorno io non avevo la pistola per Mario Placanica, ce l’avevo per l’Arma dei carabinieri, per lo Stato italiano”, ha detto all’AdnKronos l’ex carabiniere ausiliario che ha appena pubblicato un libro – Mario Placanica, il carabiniere distrutto dall’‘atto dovuto’ –  scritto con il carabiniere in congedo Andrea di Lazzaro (che ne è anche l’editore).

“Quel giorno le cose si erano messe male – racconta Placanica all’AdnKronos – l’unico mezzo che avevo per allontanare chi ci stava aggredendo era la pistola. Io mi ritengo assolto, perché non ho sparato prendendo la mira. Io sono un bravo ragazzo, non un giustiziere. E forse lo era anche Carlo Giuliani. Io non ho colpe, non me le sento addosso, ma sono stato trattato peggio di Riina. Ma io ero un appartenente allo Stato, non ero Riina. Mi sono sentito abbandonato, nessun superiore ha salvaguardato il mio essere carabiniere, c’è stato solo silenzio. Mi sono sentito una pedina”. Placanica, poi, si commuove: “Io provo dolore, provo dolore perché quella divisa ancora sogno di portarla addosso. Ero gli ultimi degli ausiliari, ma quella fiamma me la sento accesa, ero motivatissimo”.

20 anni dopo

La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha ieri dichiarato inammissibili i ricorsi presentati da alcuni poliziotti condannati per l’irruzione alla scuola Diaz durante il G8 di Genova. Dopo la morte di Carlo Giuliani il G8 non si fermò e fu portato a termine tra altri disordini. Il 21 luglio le irruzioni alle scuole Diaz e Pascoli. Violenze e arresti che sarebbero stati condannati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo come tortura. Solo dieci i manifestanti condannati dopo i tre gradi di giudizio per devastazione e saccheggio per un totale di 98 anni e 9 mesi di carcere.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.