Bazzichiamo la politica da un certo numero di anni, e sappiamo bene che qualunque disegno ha bisogno di gambe e obiettivi concreti per camminare. Però ci sono dei momenti in cui, se ci si ferma alle esigenze tattiche e non si superano i confini del “fattibile” e del “realistico”, la politica perde ogni slancio vitale, diventa solo routine defatigante, deprime chi la fa – per mestiere o per passione – e soprattutto chi dovrebbe usufruirne, cioè gli elettori e i cittadini. Questa è – oggettivamente – la situazione nella quale ci troviamo oggi. Vediamo passarci davanti eventi epocali, dallo sconvolgimento delle relazioni euro-atlantiche ad un accordo di tregua tra Usa e Russia realizzato al momento sulla pelle dell’Ucraina, fino all’annuncio pressocché quotidiano di dazi che possono creare crisi pesanti in grandi settori produttivi. E noi – noi Europa, ma anche noi Italia – non facciamo che balbettare. Da Bruxelles rispondiamo con annunci roboanti ma vuoti alle minacce commerciali di Washington e a quelle belliche di Putin.

In Italia accade anche di peggio, perché a sbrogliare la matassa dei temi importanti deleghiamo l’Europa – salvo criticarla poi per inconcludenza – mentre noi passiamo il tempo ad occuparci di faide interne a partiti e/o coalizioni, pianti greci intorno a manifesti di ottant’anni fa e ciocche di capelli strappati. È l’Italietta in purezza che si manifesta: intellettualmente e politicamente provinciale e pavida, incapace di slanci e progettualità. Eppure al comando del paese c’è una donna giovane, che gode di un confortevole consenso, ha una maggioranza numericamente solida, sa muoversi nei consessi internazionali, maneggia la politica dalla più tenera età. E dunque solo a lei, a Giorgia Meloni, si può chiedere un poderoso scatto in avanti, non certo ad altri attori politici che non hanno credibilità internazionale, profilo politico spendibile e tantomeno voti. Il punto è che proprio l’invidiabile condizione di inamovibilità è il diavoletto che consiglia a Meloni di affrontare i passaggi inediti cui è esposto il mondo con la stasi, il piccolo cabotaggio, il rinvio delle decisioni. Ma questa strategia dorotea rischia di condurre l’Italia verso un inesorabile progressivo scivolamento nel contesto globale, e a lei stessa consegna un destino da statista minore, certamente distante dall’ambizione più volte espressa di costruire in Italia un moderno partito conservatore potenzialmente maggioritario.

Per questo, a costo di apparire ingenui (colpa grave in politica, lo sappiamo), pensiamo che a Giorgia Meloni spetti al più presto assumere un’iniziativa vera e di respiro, con l’obiettivo di creare, al di là della sua maggioranza, una coalizione di volenterosi che, anche rilanciando la sua libertà di azione e le sue ambizioni – cose che ci interessano il giusto – riesca soprattutto a dare all’Italia un ruolo attivo e propositivo nel mondo che cambia vertiginosamente.