Da un lato il caso di un malvissuto, un “artista”, che quando celebra la legittimità dei massacri del 7 ottobre non è destinatario di unanime esecrazione, ma riesce a ottenere abbondanti applausi. Dall’altro quello di una 94enne che, sopravvissuta ai campi di sterminio, è sommersa di insulti che neppure nell’Italia del 1938 sarebbero stati tanto numerosi, liberi e violenti. La concomitanza di questi due episodi rappresenta molto bene la temperie del paese che si approssima a celebrare il Giorno della Memoria.

Il clima che ne soffoca il senso

Non si tratta di dividersi tra quelli che, con molte ragioni, vorrebbero mandare in desuetudine quell’appuntamento e quelli che, con altrettanti buoni motivi, ne reclamano l’importanza e insistono sul dovere di riconoscervisi e di celebrarlo. Si tratta di ammettere, per quanto dolorosamente, che non da oggi il Giorno della Memoria è aggredito da un clima che ne soffoca il senso, ne insulta il fondamento e ne annichilisce le ambizioni. E si tratta di rendersi conto, anche più tristemente, del fatto che non solo quel clima non è nuovo, ma si è fatto anche più mefitico dopo il Sabato Nero, cioè dopo il più mostruoso eccidio antisemita dai tempi della Shoah.

Gli ebrei nuovamente abbandonati

Ma altri due elementi combinati cospirano a far cupa la scena della ricorrenza: la pressoché totale mancanza di empatia verso gli ebrei nuovamente abbandonati a un’incolumità precaria e l’imperante negazionismo che, a tutto concedere, svilisce al rango di tenui e disparate episodicità le violenze antisemite. È la caccia all’ebreo per le strade di Amsterdam che diventa la zuffa tra tifoserie avversarie, per soprammercato innescata dalla protervia di quella israeliana. È il Pride in cui il gay ebreo è “ammesso”, questo sì, ma deve sopportare di essere contestato (significa insultato) se espone una bandiera con la Stella di David. È la Comunità ebraica che non ha l’obbligo di rimanere nel ghetto, questo no, ma deve pur accettare, siccome non ripudia Israele, che si facciano manifestazioni davanti alle sinagoghe.

L’occasione di fioritura

Il Giorno della Memoria è ormai un’occasione di fioritura, di trionfo di questo antisemitismo che ha trovato nell’osceno pretesto “antisionista” e nella goebbelsiana giustificazione della “critica a Israele” i motivi della propria reiterazione. Con questo, di peggio: che non si assiste neppure – e sarebbe già terribile – a un’opera di accantonamento e svuotamento della Memoria del più mostruoso sterminio nella storia, ma addirittura alla cannibalizzazione di quell’anniversario in funzione ulteriormente antisemita. La condanna, come sciaguratamente scrisse qualcuno, della “razza” che da perseguitata si fa persecutrice. In una situazione come questa non sarà facile dare ragione a chi oggi, il Giorno della Memoria, insisterà a dire “mai più” senza violentarne il significato, o invece a chi chiederà che non se ne parli mai più. Quel che è certo è che gli uni e gli altri saranno rappresentanti di testimonianze minoritarie.