Mentre a livello politico si discute di riforma del processo penale e in particolare di come modificare il sistema delle impugnazioni, le udienze e le camere di consiglio in appello e in cassazione, a Napoli viene denunciato l’ennesimo caso di sentenza “preconfezionata”. Non è, infatti, la prima volta. Era successo nella nostra città, molti anni fa, nelle aule di Castel Capuano, ma anche recentemente, nel 2020, alla Corte di appello di Venezia e ancora in altri distretti. Quando accade – o, meglio, quando il “fattaccio” viene alla ribalta perché scoperto dagli avvocati interessati al processo nel consultare il fascicolo – la magistratura s’indigna per le accuse mosse e definisce i fogli ritrovati «meri appunti del consigliere relatore», mentre l’avvocatura protesta per il palese svilimento del suo ruolo.

Questa volta, però, si è verificato un fatto nuovo in quanto la reazione dell’avvocatura non è stata compatta. La Camera penale di Napoli ha ritenuto di sottrarsi a quanto deciso dalle altre Camere del distretto e di non aderire alla giornata di astensione prevista per il 16 giugno, finalizzata anche alla partecipazione all’assemblea pubblica sul ruolo del difensore. Tale scelta ha dato la possibilità ai media di titolare sull’argomento “avvocatura spaccata”. Il Consiglio delle Camere penali italiane, all’unanimità, ha espresso solidarietà alle Camere penali di Benevento, Irpina, Aversa, Nola e Santa Maria Capua Vetere condividendo l’iniziativa adottata e invitando ad assumere i provvedimenti che si riterranno opportuni a tutela del processo in grado di appello. L’incomprensibile e isolata scelta della Camera penale di Napoli, pur in presenza di un fatto di «una gravità inaudita» – come si legge testualmente nel loro documento – è  motivata dalla circostanza che l’Anm sarebbe tornata sui propri passi porgendo le scuse all’avvocato che aveva rinvenuto l’appunto-sentenza, prima tacciato di aver messo le mani nella marmellata. Ma poiché non di marmellata si trattava, ma del fascicolo di udienza, accessibile al difensore, i tardivi attestati di stima al legale sono il minimo sindacale che una categoria, in quel momento ferita per la condotta di un suo componente, doveva fare in quanto, per pura difesa corporativa, aveva lanciato accuse non veritiere.

La drammaticità e la pericolosità di quanto accaduto resta in tutta la sua evidenza, mettendo in  luce ancora una volta come, in molti casi, il contributo delle parti, nei processi di appello e in cassazione, sia del tutto marginale se non ritenuto fastidioso. Una gravità che la magistratura, che si duole della reazione pubblica dell’avvocatura e non della condotta che l’ha provocata, sembra non voler comprendere: atteggiamento autoreferenziale che non aiuta il dialogo tra le parti che dovrebbero avere un solo interesse, cioè il buon funzionamento della giustizia. E se l’avvocatura protesta, questo è l’unico obiettivo. Guardiamolo insieme, il processo di appello, dove spesso solo il relatore ascolta le parti, mentre gli altri due componenti il collegio scrivono al computer o leggono atti. Certamente lavorano ad altri fascicoli, magari con appunti. Si dirà che è l’enorme carico del ruolo che costringe ad accavallare i momenti. Ciò consente di portare a sentenza un maggior numero di processi. Ma è la quantità o la qualità del prodotto che interessa?

All’avvocatura importa la qualità, perciò i legali pretendono l’attenzione e l’interesse dell’intero collegio all’udienza e al successivo confronto in camera di consiglio per la  decisione. Del resto è quello che prevede la legge. Ci sono altre modalità per migliorare i tempi di lavoro, per esempio non accettare incarichi esterni e non far parte delle commissioni tributarie. Ci auguriamo che la riforma incida anche sulle incompatibilità. La giustizia necessita di magistrati a tempo pieno, concentrati sul loro lavoro e pronti ad ascoltare le parti del processo dopo aver letto con attenzione gli atti. Certo, occorrerà anche la depenalizzazione di alcune fattispecie oggi del tutto irrilevanti sotto l’aspetto penale, strada da tempo indicata dall’Unione Camere Penali Italiane (Ucpi). Minor carico di lavoro e maggiore impegno della magistratura, sono le soluzioni per migliorare il processo di appello.  L’e(o)rrore potrà sempre esserci, l’appunto-sentenza potrà sempre essere scritto, ma errare è umano. La condivisione dell’errore è la strada che non dovrà più essere percorsa.

Sull’episodio resta il silenzio assordante della Procura generale, parte in causa quanto la difesa. Un appunto-sentenza scritto prima di essere ascoltati non è cosa da poco. Dovrebbe destare indignazione, ma non vi è stata alcuna reazione. Del resto il criterio di assegnazione all’udienza prevede quasi sempre lo stesso collegio, creando tra il sostituto procuratore generale e la sezione di Corte d’appello una frequentazione continua: circostanza che lascia poco spazio a un’eventuale protesta che potrebbe non consentire più prendere insieme il caffè. Su quanto accaduto viene in mente la proposta di legge costituzionale d’iniziativa popolare promossa dall’Ucpi sulla separazione delle carriere dei magistrati, che ci auguriamo venga presto approvata. Ma questo è un altro discorso, o no?