Quanto parlano quegli occhi in primissimo piano di Enrico Berlinguer non tanto e non solo ai giovani di oggi ma a chi ha creduto che il Pd non sia “il figlio” del Pci e in generale delle storie di ieri? Eppure Elly Schlein e i suoi collaboratori hanno proprio scelto lo sguardo sorridente del segretario comunista morto giusto quarant’anni fa come immagine sulla tessera del partito del 2024. “L’ho pensato quando sono andata alla mostra su Berlinguer. Un grande uomo”, ha spiegato Schlein. Tutto un po’ estemporaneo. Se fosse andata a una mostra su Matteotti, metteva Matteotti? Almeno si sarebbero evitate polemiche. Perché la scelta è andata di traverso ai cattolici che vi hanno visto, non senza fondamento, la raffigurazione plastica appunto di una filiazione diretta tra dem e Pci riaprendo così una querelle che il Pd si porta dietro fin dalla fondazione (il famoso “amalgama non riuscito” decretato da un insofferente, già all’epoca, Massimo D’Alema). Allora l’anno prossimo ci mettano Alcide De Gasperi, ha detto con ironia, o forse no, Pierluigi Castagnetti, l’ultimo segretario del Ppi, uomo che ha creduto al Pd come superamento senza infingimenti delle esperienze del passato. “Nel 2007 il Pd è nato per rappresentare nel panorama politico italiano una novità. Era il superamento di due culture, non il prevalere di un’altra sull’altra”, ha spiegato al Giornale.

Figlio del Pci

Il problema è che in teoria sarebbe dovuta nascere una nuova cultura politica. Ci si è provato ma oggi pare si torni indietro. Invece Andrea Orlando, uno dei dirigenti dem “figlio del Pci”, smorza: “Capisco poco la polemica. Quest’anno ricorrono i quarant’ anni dalla morte di Berlinguer. Credo che la sua figura rappresenti al meglio una delle culture politiche dalle quali nasce il Pd. Non avrei problemi a portare in tasca una tessera con il volto di Moro o di Nenni – ci dice – e ho orrore per la cancellazione della storia e delle tradizioni politiche. Credo sia una delle cause, anche per nostra responsabilità, dello svuotamento della democrazia”. Non si tratta di cancellare. Ma di mettere agli atti che il discorso sulle “radici” poteva avere un senso sedici anni fa, quando il Pd fu fondato, per rassicurare i militanti di Dc e Pci sul fatto che quei patrimoni sarebbero sussistiti ancora seppure in un nuovo contenitore politico: e se già allora questa era una lettura difensiva, oggi poi non ha davvero più senso. Soprattutto se si vuole fare del Pd il partito del futuro. E qui Berlinguer ci parla davvero poco. Sulla politica internazionale. Sulla concezione di fondo della lotta sociale. Sul rapporto tra politica e morale. Da quest’ultimo punto di vista, è probabile che la segretaria del Pd abbia voluto raccogliere la sfida portata tutti i giorni da Giuseppe Conte che saltando sopra le peripezie “tragicomiche”, come le definisce Le Monde, della Puglia ha ficcato la lama nella carne viva del Pd, appunto sulla famosa “questione morale” che Berlinguer mise al centro della sua riflessione agli inizi degli anni Ottanta.

La risposta a Conte

Se è così non è un bel segnale. Riprendere Berlinguer per “rispondere” all’avvocato del popolo appare abbastanza penoso. Se così fosse non solo si tratterebbe di una scelta subalterna alla propaganda dell’avvocato ma condotta nel modo più stereotipato, quello del “noi abbiamo le mani pulite, chi può dire altrettanto?”, come si leggeva su un vecchio manifesto del Pci, in cui riemergerebbe uno dei cascami più discutibili di quel partito, la cosiddetta superiorità morale prerogativa dei comunisti. In realtà Berlinguer fece del rispetto del codice penale uno spartiacque tra “noi” e “loro” che non solo si dimostrò concretamente fallace ma soprattutto sostituì alla politica la morale innescando un cortocircuito che portò rapidamente alla supremazia dei magistrati sulla politica.

Il senso del messaggio

Nel tempo della guerra di Mosca all’Ucraina, poi, quel legame che il Pci mantenne per un lunghissimo tratto con il campo dominato dall’Urss, fino allo “strappo” berlingueriano del 1981, non è un impaccio? Diversi anni fa Claudia Mancina scrisse parole definitive: “Sarebbe stato necessario un lavoro di scavo nella cultura politica che anche Berlinguer non volle o non potè fare, limitandosi a innovare in politica internazionale (mai sino in fondo, mai recidendo del tutto i legami con l’Unione sovietica), senza che questo pur coraggioso rinnovamento toccasse anche il cuore dell’identità comunista” (“Berlinguer in questione”, Laterza, 2014).
Forse sulla tessera sarebbe stata più azzeccata l’effige di una vittima di Putin, o di una ragazza stuprata il Sette Ottobre. La questione riguarda ancora una volta l’identità del partito di Elly Schlein il cui improvviso arrivo sul ponte di comando ha se possibile ingarbugliato ancora di più le cose dando l’impressione di una certa improvvisazione: in fondo che c’entra Schlein con il Pci? Una tessera al giorno d’oggi non rappresenta ciò che rappresentava una volta, e però è il veicolo di un’idea. La questione non è la figura di Enrico Berlinguer ma il senso profondo del messaggio che il Pd vuole dare. E lo sta facendo guardando all’indietro cercando di scaldare i cuori (ma di chi poi?) invece di avere il coraggio di guardare davanti a sé.