Diversi quotidiani hanno messo in luce, in questi giorni, i ritardi se non addirittura una sorta di congelamento delle istanze dei lavoratori stranieri impiegati irregolarmente nell’agricoltura o nel lavoro domestico. A distanza di quasi sette mesi dalla data di chiusura della presentazione delle domande, i permessi di soggiorno rilasciati superano di poco l’1%. E la vicenda assume davvero caratteri opachi se consideriamo che a questa frenata corrisponde in parallelo la timidezza con la quale le commissioni territoriali stanno applicando la cosiddetta protezione speciale. La denuncia ampia e corredata di dati viene da tutte le maggiori organizzazioni del terzo settore impegnate nell’accoglienza e nell’inclusione dei migranti.

È facile dire Covid; è facile invocare lo smart working, ma qui stiamo parlando di persone con le loro speranze, con i loro bisogni, alle quali le nostre strutture amministrative non riescono a dare risposte. È grave semplificare che il rilascio di una ricevuta possa garantire la presenza almeno temporanea sul territorio; ripeto, si tratta di persone che in questa condizione non potranno iscrivere la propria presenza in Comune, né avere un regolare rapporto di lavoro o l’assistenza sanitaria che assicuri il loro ruolo nelle famiglie italiane. Perché è così difficile comprendere che questi hanno bisogni e diritti esattamente come noi?

Ma per quanto grave il ritardo, così determinato, ha ancora una qualche tenue giustificazione. La preoccupazione, invece, è che rappresenti non solo disattenzione e scarso impegno, ma una scelta consapevole che opportunisticamente è tesa a far naufragare una norma che il Parlamento, dopo un aspro dibattito, ha approvato.
Si tratta in sostanza, se il mio cattivo pensiero ha un fondamento, di strizzare l’occhio a quelle parti politiche che hanno abbaiato contro questa scelta con le solite affermazioni prive di ogni fondamento, quali: rubano il lavoro agli italiani, importiamo il terrorismo, amplifichiamo il contagio del Covid, sprechiamo risorse che spettano alla nostra gente. E già si odono gli squilli di tromba di giornali portatori di questa falsa e triste cultura discriminatoria che denunciano il “flop”, della sanatoria inutile e del presunto danno subito dagli italiani con i ritardi alla cassa integrazione erogata dall’Inps. Spero con tutto il cuore di avere torto.