Con l’invasione putiniana dell’Ucraina il tema del pacifismo è tornato di attualità, nelle sue varie declinazioni. Il nostro Paese si è rivelato uno degli Stati occidentali in cui il movimento e il sentimento pacifista in genere hanno fatto maggiore presa nell’opinione pubblica. Ciò è il riflesso di gran parte dell’intellighenzia italiana, le cui élites intellettuali si professano a larga maggioranza pacifiste.

Se l’aspirazione alla pace è un sentimento giusto, la perplessità che deriva dal pacifismo che chiede “la pace ad ogni costo” è il fatto che esso troppo spesso ha preso le sembianze di un’affermazione ideologica, orfana di un confronto con realtà e strumenti concreti attraverso i quali pensare e costruire tale pace. La miopia di fondo, politica e culturale, risiede nella conflittuale schematizzazione pace versus guerra, invece di inserire la riflessione in una dialettica più ampia, in cui una pace equa dovrebbe necessariamente andare a braccetto con giustizia e verità storica.

Da qui deriverebbe una più corretta contrapposizione, quella tra pacifismo e nonviolenza. Il primo nasce in Italia come risultato ideologico della propaganda stalinista, mosso da antiamericanismo latente prima e (almeno parziale) antioccidentalismo poi, con i Partigiani della Pace supportati dal PCI per opporsi all’istituzione della Nato e alla successiva adesione italiana. La nonviolenza, nata sulle ceneri del pensiero liberale, laico e religioso, recupera invece la teorizzazione di gandhiana memoria, distinguendosi nella pratica abbracciando l’ideale di una lotta senza armi, ma solo quando questa sia nelle effettive condizioni di indebolire l’oppressore. Affermare oggi che la legittima difesa ucraina, a causa dell’utilizzo della violenza, sia paragonabile all’aggressione russa significa negare talvolta il bisogno di un inevitabile uso della forza, che entra in gioco quando vengono violati i principi fondamentali del diritto internazionale.

Qui sta la debolezza culturale del pacifismo, nella pretesa di superiore moralità: la nonviolenza non si pone la questione etica di non avvicinarsi alla violenza, quanto piuttosto il fine politico di contrastarla, tutelando il diritto alla vita e alla libertà. L’obiettivo, piuttosto che la pace, è la fine del sopruso verso i diritti fondamentali, e quindi la fine della violenza stessa, che non può essere garantita dalla pace di per sé. La distanza tra pacifismo e nonviolenza si inserisce in una questione ancora più complessa: l’eterna differenza tra principi e valori. Per i principi si muore, per i valori si vive. Nonviolenza è libertà, è conoscenza, è democrazia. Ma è anche strategia, non atto di fede, che deve perciò essere dotata di calcolo ed elasticità. Era ad esempio questa la posizione di Marco Pannella, nel rifiuto del pacifismo inerme che corre in soccorso dei violenti. “Mille volte meglio un violento che reagisce che i codardi, i pacifisti aggiungo io, che si mettono a fare i neutrali tra le vittime e i torturatori”. La nonviolenza, che presuppone il pragmatismo come modus operandi, inserisce un elemento fondamentale, e cioè il diritto. Il salto di qualità è l’applicazione della questione dello Stato di diritto come regola del vivere comune.

Se in una società o tra Paesi nascesse un soggetto che non rispetti questa concezione, e il resto degli attori rimanesse integralmente pacifista, esso diverrebbe nei fatti detentore del monopolio dell’uso della forza. Ciò che si può quindi provare a creare è una società basata sul monopolio statale dell’uso della forza, con libertà e diritti individuali costituzionalmente garantiti. La logica maturazione del ragionamento è che un sistema sociale internazionale che vada verso un reale pacifismo non può non passare da un cambiamento della politica dei Paesi avversi a questo paradigma. Concentrandoci sulla Russia, tale evoluzione potrà avvenire solo dopo che l’attuale regime sarà stato deposto e un nuovo esecutivo accetti la logica dello Stato di diritto. Non c’è pace senza giustizia: la pace passa dunque per una sconfitta della Russia.

Antonio Bompani

Autore