“In questa conferenza cercherò di spiegare – a me stesso e a voi – perché sono stato portato a considerare la leggerezza un valore anziché un difetto”. Eccola qui, la celebre e citatissima “leggerezza calviniana”, a cui dedica la prima delle sue Lezioni americane, uscite postume nel 1988.

Sta forse proprio in questo concetto la capacità di Italo Calvino, di cui si sono celebrati quest’anno – precisamente il 15 ottobre – i cento anni dalla nascita, di tratteggiare personaggi e situazioni perfettamente sospesi tra realtà e favola, senza mai definirne un confine preciso, perché la vita è sogno e solo i grandi la capiscono così bene da riuscire a sorriderne. E lui grande lo era, grandissimo, con quella sua scrittura unica e rivoluzionaria, che ha segnato non solo il secolo passato ma l’intera storia della letteratura italiana.

Una scrittura raffinatissima e semplice – accusava l’amato Pasolini di scrivere troppo complicato – capace di raggiungere tutti, tanto che legioni di bambini hanno conosciuto le gesta di Marcovaldo o si sono cimentate nella lettura della trilogia degli antenati – Il visconte dimezzato, Il barone rampante, Il cavaliere inesistente – pur cogliendone probabilmente solo il lato fantastico, il primo degli innumerevoli livelli di interpretazione dei suoi scritti che lo rendono così ricco, affascinante e poetico. Italo Calvino è uno di quegli autori che ti accompagnano per tutta la vita, i cui testi possono essere riletti in vari momenti del percorso esistenziale e ogni volta offrire nuove interpretazioni: “La letteratura non conosce la realtà ma solo livelli. Se esista la realtà di cui i vari livelli non sono che aspetti parziali, o se esistano solo i livelli, questo la letteratura non può deciderlo. La letteratura conosce la realtà dei livelli e questa è una realtà che conosce forse meglio di quanto non s’arrivi a conoscerla attraverso altri procedimenti conoscitivi. È già molto”, scriveva nel saggio del 1978 “I livelli della realtà in letteratura”.

La giovinezza, il Gabinetto Vieusseux e la resistenza partigiana

Intellettuale, scrittore, sceneggiatore, uomo di grande impegno politico, Italo Calvino era nato per caso a L’Havana, dove i genitori, lui agronomo ligure lei botanica sarda, si erano trasferiti per il lavoro del padre. Tornati in Italia due anni dopo la sua nascita, si stabilirono a Sanremo, luogo che spesso lo stesso Calvino indicava come sua più autentica origine e dove lo scrittore visse un’infanzia serena, popolata dagli intellettuali amici dei genitori, liberi pensatori, che contribuirono ad arricchire la sua giovane mente curiosa di elementi inusuali e ad aprirla alla meraviglia. Trasferitosi a Torino per studiare Agraria, senza troppa convinzione, cominciò invece a coltivare la propria attitudine alla scrittura; trasferitosi alla facoltà di Firenze, cominciò a frequentare assiduamente il Gabinetto Vieusseux e quella forma di resistenza che si era aggregata attorno alla biblioteca fiorentina, fino alla scelta di aderire alla resistenza partigiana nel gennaio del 1944: “Sentivo che in quel momento quello che contava era l’azione”, dichiarò.

Il primo romanzo e gli inizi

Di quell’esperienza scrisse nel suo primo romanzo, “Il sentiero dei nidi di ragno”, che con la successiva raccolta di racconti “Ultimo viene il corvo” è ascrivibile al neorealismo letterario. Concluso il conflitto mondiale tornò all’Università, questa volta a un più consono corso di lettere (“Io sono la pecora nera, l’unico letterato della famiglia”) dopo il quale cominciò la sua storica collaborazione con Einaudi e si consolidò la sua attività di scrittore, che alternava a quella di giornalista con collaborazioni a L’Unità e Rinascita. Alla pubblicazione dei romanzi della trilogia degli antenati si aggiunge “La speculazione edilizia”, che con “La giornata d’uno scrutatore” rappresenta qualcosa di molto vicino a un’autobiografia, e che comunque contiene rimandi importanti alla realtà emotiva e professionale che lo scrittore stava sperimentando in quegli anni. In occasione di uno dei numerosi viaggi che fece tra la fine degli anni 50 e l’inizio dei 60, quando ormai era un autore di chiara fama, Calvino incontrò la traduttrice argentina Esther Judith Singer, soprannominata Chichita, che sposò all’Avana nel 1963. Si stabilì con lei prima a Roma, dove nel 1965 nacque la sua unica figlia Giovanna, e poi a Parigi, dove rimase per tredici anni. In questo periodo la sua produzione si amplia e approfondisce il grado di complessità interpretativa, pur rimanendo fedele a quella semplicità narrativa e ironia che riteneva fondamentali: “Penso che l’autoironia sia l’aspetto decisivo dell’umorismo: sapere che in qualsiasi momento potrei dire il contrario di quello che dico, riuscire a mettere continuamente in discussione le proprie opinioni, è questa a mio avviso la condizione prima dell’intelligenza”, dichiarò in un’intervista.

La centralità dell’elemento fantastico

Oltre ai già citati romanzi, negli anni Settanta videro la luce “Le città invisibili”, “Il castello dei destini incrociati” e “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, oltre a una produzione sconfinata di saggi e racconti usciti in varie raccolte, i cui titoli tradiscono la straordinaria gamma di sfumature tematiche di Calvino, da “La formica argentina” a “Le cosmicomiche”, a “Gli amori difficili” passando per “Sotto un sole giaguaro”, solo per citarne alcune. L’elemento fantastico rimase centrale nella sua poetica, anche durante la seconda fase della sua produzione, in cui la struttura gioca un ruolo fondamentale e lo svolgimento narrativo diventa articolato, con percorsi multipli, rispecchiamenti e meccanismi piuttosto ricercati, pur non rinunciando mai all’elemento fantastico:Il fantastico, contrariamente a quel che si può credere, richiede mente lucida, controllo della ragione sull’ispirazione istintiva o inconscia, disciplina stilistica; richiede di saper nello stesso tempo distinguere e mescolare finzione e verità, gioco e spavento, fascinazione e distacco”, scrisse in un saggio.

L’ultimo romanzo e l’ictus improvviso

L’ultimo suo romanzo (anche se inizialmente nato come raccolta di racconti) è “Palomar”, personaggio poetico e filosofico, anima contemplativa quasi mistica, uscito nel 1983; due anni dopo, Italo Calvino muore improvvisamente per un ictus, all’età di 61 anni. È sepolto in Maremma, dove amava trascorrere le estati, e dove lavorò fino all’ultimo alle “Lezioni americane” che avrebbe dovuto tenere ad Harvard il successivo anno accademico.