A parole l’Occidente ha già condannato Vladimir Putin per le atrocità commesse dai militari russi da 40 giorni a questa parte in Ucraina, una posizione quella del Cremlino che si è fatta sempre più indifendibile dopo il massacro testimoniato dalle foto e dai video proveniente da Bucha, la città alla periferia nord di Kiev dove i militari russi hanno compiuto una strage di civili.

Eppure i rischi reali per Putin di finire davanti ad un tribunale internazionale e rispondere dei crimini di guerra compiuti sono bassi. L’ipotesi di un Milosevic bis, l’ex presidente serbo spedito nel 2001 davanti ai giudici dell’Aja dal suo successore Zoran Dindic a rispondere dei crimini commessi in Bosnia negli anni Novanta, appare remota.

Le dichiarazioni di questi giorni dei leader europei e occidentali, dopo la scoperta del massacro di Bucha, citano spesso i crimini di guerra di cui Putin dovrà essere chiamato a rispondere e in effetti il procuratore generale della Corte Penale Internazionale, Karim Khan, già il 28 febbraio scorso, aveva annunciato l’apertura di un’indagine ritenendo fondati i sospetti su crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi in Ucraina.

Eppure la questione non è così semplice o immediata, ricordando che la CPI, creata nel 2002 e istituita con lo Statuto di Roma (è sostenuta da 124 nazioni sulle 193 rappresentante all’Onu), nella sua storia ha emesso solo 10 condanne e trattato una trentina di casi. Innanzitutto la Corte ha giurisdizione solo per i Paesi che hanno deciso di accettarla e Kiev non ha mai firmato lo statuto, mentre la Russia non l’ha mai ratificato, così come anche la Cina e gli Stessi Stati Uniti.

Non avendo ratificato lo Statuto di Roma e non accettando la giurisdizione della Corte, la Russia non ha dunque l’obbligo legale di cooperare con la CPI e consegnare gli indagati per sottoporli ad un eventuale processo.

Va ricordato inoltre che gli Stati Uniti, sotto la presidenza Trump, avevano imposto sanzioni economiche contro funzionari della Corte Penale Internazionale per l’inchiesta del tribunale dell’Aja su possibili crimini contro l’umanità commessi in Afghanistan a partire dal 2003. Insomma, gli Stati Uniti che chiedono indagini sui crimini di guerra non possono pensare evidentemente ad una Corte che la stessa Washington non riconosce.

Per questo si sta facendo largo l’ipotesi di un tribunale speciale, come accaduto in Iraq per indagare sui crimini compiuti dal regime di Saddam Hussein, deposto poco prima, nel 2003. Anche qui però ci sono problemi enormi: finché Putin resterà al comando al Cremlino, appare praticamente impossibile qualsiasi ipotesi di un processo contro lo Zar.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia