Caro Matteo, siamo “isolati politicamente, residuali, estremisti, alleati con fasci e svastiche, candidiamo gente totalmente estranea al nostro movimento…”. Un nome su tutti: il generale Vannacci. Caro Matteo Salvini, fai tesoro di queste “urgenti riflessioni” in vista delle elezioni europee perché così non si va avanti. Seguono le firme di ventuno amministratori locali, sindaci e consiglieri regionali, molti ex parlamentari e segretari. Nomi che hanno fatto la storia della Lega, ben prima di Salvini, come Cristian Invernizzi, deputato dal 2013 al 2023 o come Dario Galli, presidente della provincia di Varese dal 2008 al 2014, ex viceministro dello Sviluppo economico e in Parlamento dal 1996 al 2022 (con una parentesi dal 2008 al 2018). Mai in quarant’anni di vita (il 12 aprile 1984 Bossi fondò la Lega Autonomista Lombarda, che sarebbe poi diventata la Lega Lombarda) s’era visto un atto d’accusa così forte, pubblico, argomentato e firmato contro un segretario in carica. La Lega ha portato in piazza le scope, ha saputo fare pulizia e cambi di segretario, prima Bossi e poi Maroni, dolorosi quanto necessari. Mai s’era vista però, nell’era Salvini, una levata di scudi così netta e determinata. Che assume ancora più valore conoscendo quanto la Lega sia diventata nei dieci anni della segreteria Salvini un partito blindato, addirittura “stalinista” secondo qualcuno, dove il dissenso viene prima emarginato e poi espulso. Un partito nei fatti non più scalabile dall’interno perché a capo dei comitati provinciali e regionali ci sono solo fedelissimi e obbedienti al Capitano. Quei pochi e rari momenti di dissenso pubblico, vedi il caso di Gianantonio De Re, sono stati isolati e poi espulsi. Invece, complice la riflessione pasquale, ieri è stato diffuso – Il Riformista ne ha una copia – un documento che trasforma in un colpo solo tutti i retroscena giornalistici scritti in questi mesi in scena politica e pubblica.

In 21 contro Salvini

Un documento che ha il pregio della sintesi, la forza della chiarezza e il coraggio delle firme. Ben ventuno che possono essere così definite: la base storica della Lega nord che Salvini da un pezzo ha deciso di non ascoltare più e quindi di escludere. Il coraggio avrebbe potuto essere maggiore se avesse firmato anche qualcuno degli attuali parlamentari che a taccuini chiusi sono molti critici con il segretario e il suo progetto politico.

Quattro punti chiave

Sintesi e chiarezza, quindi. Possiamo estrarre quattro punti chiave. Il primo: “In questi cinque anni la Lega è stata relegata ad un ruolo di importanza residuale nel parlamento italiano e nelle istituzioni europee”. Il secondo: “Questo isolamento politico non ci ha consentito di incidere concretamente nella ricerca di soluzioni a problematiche di interesse del movimento” e hanno provocato “l’appannamento dell’interesse degli iscritti e un affievolimento della loro partecipazione”. Cioè il crollo del consenso. Il terzo punto chiave: “Dov’è finita, caro segretario, la tradizionale e giusta distanza che abbiamo sempre mantenuto da tutti gli opposti estremismi?”. Qualche riga più sotto: “Perché abbiamo smesso di dialogare con forze autonomiste e federaliste per accordarci con chi non ha la nostra naturale repulsione nei confronti di fasci e svastiche?”. Come è possibile, infine, “coniugare l’alleanza elettorale con l’Udc di Cesa con quella strutturale con l’Afd tedesca, due alleanze obiettivamente inconciliabili”. Il quarto punto chiama in causa le ipotesi di candidature tipo Vannacci che, tra l’altro, si permette di fare il prezioso e neppure sciogliere la riserva, di speculare sull’offerta ma di fare i conti se non gli convenga piuttosto di candidare un proprio movimento politico. “Se le indiscrezioni sulla candidatura nelle nostre liste di personaggi con forte marcatura nazionalista – si legge nel documento – totalmente estranei al nostro movimento, fossero veritiere, renderebbero ancora più difficile il perseguimento degli obiettivi storici del partito”.

Il momento giusto

Non è un caso che il documento venga fatto circolare alla vigilia delle mozioni di sfiducia in calendario tra oggi e domani alla Camera, promosse dalle opposizioni e che coinvolgono la ministra del Turismo Daniela Santanché e, appunto, il vicepremier Salvini. I due azionisti di maggioranza del governo hanno un problema serio e non sarà facile, né senza conseguenze, risolverlo. Non lo sarà per Meloni costretta a “difendere” – ma per quanto ancora – l’indifendibile Santanché la cui posizione – al di là del merito delle tre inchieste giudiziarie in cui è coinvolta – è diventata assai impopolare da sostenere. La mozione di sfiducia per la senatrice è in calendario stamani (ore10) e per quanto blindata nei numeri segnerà una nuova ferita per la credibilità della premier. La ministra del Turismo infatti, prossima alla richiesta di rinvio a giudizio per truffa ai danni dell’Inps, si porta dietro il presidente del Senato Ignazio La Russa per via dell’inchiesta per riciclaggio sulla compravendita di una villa al Forte dei Marmi gestita dal compagno di Santanché Dimitri Kuntz D’Asburgo e dalla signora De Cicco, moglie di La Russa. Non meno imbarazzante per Salvini la mozione di sfiducia circa il patto di alleanza sottoscritto nel 2017 con “Russia unita”, il partito di Putin. Ieri mattina una nota del partito ha provato a disinnescare la mozione. “L’accordo con Putin non ha valore dopo l’invasione dell’Ucraina, la guerra ha cambiato giudizi e rapporti. Dispiace che il Parlamento debba perdere tempo in polemiche così inutili. La linea in politica estera della Lega è confermata dai voti in Parlamento”.

Le crepe aumentano

Se così fosse, perché mettere in dubbio l’omicidio politico di Navalny e definire “libere elezioni di popolo” quelle che hanno confermato Putin al Cremlino? Soprattutto, perché non fare un semplice ma inequivocabile gesto e strappare in aula o comunque davanti alle telecamere l’accordo con Russia Unita? La maggioranza in aula sarà compatta, anche questa volta, in entrambe le votazioni. Ma le crepe aumentano e la pazienza ha un limite. Anche nei partiti blindati della destra. Intanto Forza Italia mangia i popcorn.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.