È ampiamente noto che nei mesi di maggiore diffusione e morbilità della pandemia da coronavirus il personale sanitario ha dato prove eccezionali di impegno e dedizione in tutti i settori in cui si è trovato in prima linea nella cura e nell’assistenza di chi è stato colpito dal contagio. I contagiati hanno personalmente testimoniato il generoso e talvolta eroico comportamento di medici e infermieri, la presenza e i turni massacranti ben oltre gli orari di lavoro; impegno ripetutamente riconosciuto e additato ad esempio dallo stesso Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Questa premessa è assolutamente doverosa nel momento in cui ci troviamo di fronte a contrastanti comportamenti da parte di quello stesso personale sanitario. Se ne è sinora parlato poco, ma un numero non indifferente di medici, infermieri e operatori socio-sanitari ha individualmente rifiutato di sottoporsi al vaccino, malgrado le ripetute e insistenti sollecitazioni della Federazione nazionale dell’ordine dei medici e degli ordini degli infermieri e dei socio-sanitari. D’altra parte la stessa Costituzione (art. 32) ammette che si possa essere sottoposti a un trattamento sanitario obbligatorio solo se previsto da apposita legge e nei limiti imposti dal rispetto della persona umana. Il decreto legge n. 44 del 1° aprile 2021 (convertito nella legge n. 76 del 28 maggio 2021) dispone poi ex lege, cioè d’ufficio, la sospensione dall’esercizio della professione sanitaria e dalla prestazione dell’attività lavorativa, ovviamente senza stipendio per i dipendenti da enti pubblici o privati.

A tutt’oggi i numeri denunciano di per sé la diffusione del fenomeno: si parla di oltre 46.000 operatori sanitari che, talvolta per validi motivi, hanno rifiutato il vaccino, pari al 2,3% del totale di un milione e novecentomila operatori, distribuiti a macchia di leopardo in quasi tutte le regioni. Le tre regioni ove è maggiore il numero dei sanitari renitenti al vaccino sono l’Emilia-Romagna (oltre 14.000 non vaccinati, pari all’8% del totale del personale), la Sicilia (9214, pari al 6,5%), la Puglia (9000, pari al 6,5%). Ma si tratta di numeri destinati a crescere: ad esempio le varie Asl della Liguria hanno inviato 11.000 lettere di invito alla vaccinazione, ma più di mille non hanno ricevuto risposta.
Si tratta non solo della disobbedienza a una norma di legge, ma di violazioni gravi della deontologia professionale.

Malgrado tutte le possibili difese (tute, scafandri e via dicendo), la professione di medico e di infermiere comporta necessariamente contatti fisici ravvicinati con il paziente, con l’ovvia e paradossale conseguenza che l’operatore sanitario non vaccinato può a sua volta divenire diffusore più o meno consapevole del contagio, in palese contrasto con l’elementare e basilare obbligo deontologico di prevenire che il paziente venga esposto a patologie, nel caso di specie al covid-19. Tant’è vero che il dr. Roberto Burioni, virologo dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, ha parlato di episodi incredibili e dolorosi, sino a suggerire che forse bisognerebbe indirizzare questi sanitari verso un lavoro differente e più adatto alla loro posizione. Nella categoria degli operatori sanitari sembra cioè che alcuni siano venuti meno a quel clima di solidarietà sociale che il nostro Presidente della Repubblica aveva avuto occasione di menzionare nei momenti più duri e difficili della pandemia.

Ma non è tutto: in un contesto in cui è un dato incontestabile che la sconfitta del virus dipende dal maggior numero di persone vaccinate (la c.d. immunità di gruppo), gli esempi dei medici che rifiutano il vaccino, anche se numericamente non rilevanti, possono avere un pernicioso effetto dissuasivo nei confronti dei milioni di persone che per i motivi più vari non sono ancora stati vaccinati. Se persino il medico di fiducia rifiuta il vaccino, vuol dire che la vaccinazione è cosa pericolosa. Anche se è vero che la percentuale dei casi in cui il vaccino provoca più o meno gravi complicazioni è infinitamente bassa, molti penseranno bene di sottrarsi alla vaccinazione, rinunciando ad una piccola manifestazione di solidarietà sociale che contribuirebbe a diminuire la diffusione della pandemia e ad accelerare i tempi della definitiva sconfitta del virus. Oltre che, ovviamente, a rendere il vaccinato immune dal contagio e libero di tornare a vivere una esistenza di normali scambi e rapporti sociali.