“La situazione nel carcere di Melfi è davvero drammatica, aumentano i contagi Covid e noi non sappiamo nulla dei nostri padri, fratelli e mariti che sono lì detenuti”. È questo uno dei messaggi che le donne dei detenuti ristretti nel penitenziario della provincia di Potenza hanno inviato da Sicilia, Calabria e Puglia al garante dei detenuti del Comune di Napoli Pietro Ioia. Perché proprio a lui? Perché in Basilicata non esiste nessun garante dei detenuti a cui rivolgersi ma le pochissime notizie che arrivano dal carcere sono allarmanti e preoccupano moltissimo il gruppo di donne che ha deciso di chiedere a lui aiuto.

Il numero dei detenuti contagiati è salito a 53 su una popolazione di 150, aumentano anche i contagi tra le guardie penitenziarie che sono state colpite dal virus in 5. Ma tra i parenti dei detenuti si parla di numeri ancora più alti, tra gli 80 e i 100 contagiati. “Abbiamo pochissime notizie dal carcere – dice la moglie di un detenuto – mio marito è stato contagiato e può videochiamarmi solo una volta a settimana, so pochissimo di cosa succede lì e di come sta e dal carcere non mi danno notizie”.

“Non hanno assistenza adeguata, mancano medici e infermieri, non hanno nemmeno bombole d’ossigeno a sufficienza. I detenuti lì non hanno diritto a nulla, solo una doccia al giorno nemmeno troppo calda, non c’è un garante a cui possiamo rivolgerci e la direttrice è già cambiata 4 o 5 volte”, dice un’altra moglie.

“Vi chiediamo aiuto perché alla parola ‘detenuto’ il diritto muore e non è giusto – dice la figlia di un detenuto siciliano – sono abbandonati e abbiamo paura che possano scoppiare nuove rivolte”. “Mio marito è risultato positivo al Covid e sta malissimo – dice un’altra donna – quando ha chiesto le medicine gli hanno detto che senza soldi non si cantano messe. Tutto ciò per il ritardo di un bonifico, cosa assurda. I nostri familiari non devono essere trattati come bestie, devono pagare ma non con la vita”.

“La situazione è critica e nessuno ne parla – dice la sorella di un detenuto – Noi fratelli, sorelle, figli e mogli non vediamo i nostri cari da novembre, non sappiamo come sia stato possibile che il virus sia entrato in quel carcere ma nessuno aiuta i detenuti ammassati lì dentro”. Ogni donna racconta negli audio inviati a Pietro Ioia il suo dramma di sapere il proprio amato in pericolo senza poter fare nulla. “Spero che le nostre testimonianze servano a far sì che si faccia una verifica in quella casa circondariale e che i nostri detenuti abbiano i loro diritti”, dice un’altra figlia.

“Mio zio è in carcere a Melfi positivo al Covid – continua una nipote – mi ha raccontato che non ci sono nemmeno tamponi per cui quando ha iniziato ad avere i sintomi gli hanno detto di assaggiare il dentifricio per sentire se aveva perso i sapori. E non può nemmeno chiamarci per dirci come sta. Credo che tutto questo sia ingiusto”. In questa situazione così pericolosamente esplosiva i familiari dei detenuti non sanno a chi appellarsi. “Queste donne non parlano di libertà, ma solo di diritti, di dignità dell’uomo recluso ed è questa che sta venendo meno nei nostri carceri. È questo il male puro del carcere – commenta Pietro Ioia – In un momento così drammatico in cui imperversa la pandemia, i detenuti possono essere lasciati così soli?”. E lancia l’appello al garante nazionale dei detenuti Mauro Palma affinchè vada personalmente a controllare cosa sta succedendo a Melfi o che dia incarico a qualcuno di farlo.

“Faccio appello alle istituzioni, anche al ministro Cartabia – continua Ioia – questo è un carcere abbandonato da Dio, tutti noi garanti dobbiamo fare rete e intervenire. Il consiglio regionale della Basilicata aveva approvato all’unanimità l’istituzione di un garante regionale in Basilicata ma attualmente ancora non esiste. Aiutiamo queste donne, aiutiamo i loro uomini, diamo dignità ai detenuti facciamo sì che possano scontare le loro pene non dignità”.

A lanciare l’allarme sulla situazione del carcere di Melfi è anche l’ Uilpa, sindacato di polizia penitenziaria che già nei giorni scorsi aveva denunciato lo stato in cui versa il penitenziario, afflitto dal covid e senza copertura medica e dispositivi di protezione adeguati. Il segretario regionale Uilpa, Donato Sabia, racconta che nonostante il focolaio Covid, i medici sono presenti solo per parte della giornata e gli infermieri sono in grave affanno a cercare di assistere tutti al meglio facendo turni praticamente continuativi. Sul fronte Amministrazione Penitenziaria, la situazione non va meglio di quella sanitaria.

“Il personale si sente abbandonato e frustrato, ancora privo di un Comandante nonostante le sollecitazioni delle OO.SS – scrive in una nota il segretario regionale Donato Sabia – Sia l’amministrazione Regionale sia quella Nazionale sono consapevoli della grave situazione gestionale a Melfi, ma nessuno prende di petto questa criticità”.

“L’Amministrazione Penitenziaria regionale con sede a Bari, aveva tamponato la grave carenza di comando a Melfi, inviando in missione con autovettura di servizio, il Comandante della Casa Circondariale di Potenza per due volte a settimana. Da 10gg è assente per motivi personali e l’amministrazione non ha provveduto a una temporanea sostituzione – continua la nota – questo dimostra quanto attenzione hanno i nostri Dirigenti Generali, che occupano un posto manageriale e di responsabilità ma solo sulla carta”.

“Forse è arrivato il momento di lasciare la poltrona a coloro che non scappano di fronte alla realtà e alle responsabilità – conclude la nota di Sabia – La Direzione della CC di Melfi, ha richiesto un minimo di sfollamento di detenuti al fine di avere degli spazi necessari per far fronte alle esigenze organizzative, al fine di separare i negativi dai positivi e da coloro che hanno la necessità di stare in quarantena per essere stato a contatto diretto con un positivo. Ancora oggi nulla di fatto! Così, sarà difficile spegnere questo focolaio tra le 4mura del carcere. Nessun segnale è giunto dalla classe politica”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.