Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, aveva provato a lanciare un primo segnale di ottimismo riguardo i negoziati in corso tra Israele e Hamas. Lo Stato ebraico, a detta del capo della Casa Bianca, sarebbe pronto a fermare le ostilità per il Ramadan una volta raggiunta l’intesa sugli ostaggi. Accordo che, sempre secondo Biden, potrebbe essere pronto già per il fine settimana. La ventata di positività di Washington è stata però immediatamente bloccata dalle stesse parti coinvolte in queste difficili trattative. Hamas ha subito detto che vi sono “ancora grandi lacune che devono essere colmate”. E Osama Hamdan, uno degli uomini più importanti dell’ufficio politico del gruppo palestinese, ha accusato il presidente Usa di “ipocrisia” e di un accordo che in realtà è una “proposta americana” per “salvare la faccia a Israele”.

Le due facce dei negoziati: Biden ottimista ma per Qatar “nessuna svolta”

Da parte dello Stato ebraico, sono in molti ad avere mostrato anche una certa sorpresa nei confronti delle parole del presidente statunitense. Secondo alcuni media, la sorpresa sarebbe stata anche dello stesso premier, Benjamin Netanyahu, che non si aspettava un’accelerazione pubblica da parte del capo della Casa Bianca in una fase così delicata e anche difficile delle trattative. Mentre da Doha, dove sono in corso i colloqui, il portavoce del ministero degli Esteri del Qatar ha evitato di commentare le parole di Biden ma ha confermato che non c’è stata “alcuna svolta” nel negoziato, pur lasciando trapelare fiducia.
In queste ore continuano a circolare diverse ipotesi sul possibile contenuto dell’accordo. La trattativa sembrerebbe avere disegnato un periodo di 40 giorni di tregua in cambio di 40 ostaggi liberati da Hamas e 400 detenuti rilasciati da Israele. Ma esistono ancora diverse questioni aperte: non ultima quella del ritiro delle Israel defense forces dalla Striscia di Gaza.

La tregua secondo Hamas: Israele via da Gaza

Per Hamas, la tregua deve essere il preludio al cessate il fuoco definitivo. Mentre il governo israeliano ha già fatto capire più volte che il conflitto finirà solo con la sconfitta totale dei miliziani e la liberazione di tutte le persone rapite il 7 ottobre. Elementi che non possono essere raggiunti se non con il proseguimento dell’operazione militare. E questo significa anche con l’avanzata sulla città di Rafah: possibile spartiacque di questa guerra. Gli Usa (ma anche segmenti della sicurezza israeliana) vogliono evitare che si arrivi alla miscela esplosiva di un assalto a Rafah durante il mese sacro del Ramadan e con possibili tensioni a Gerusalemme e in Cisgiordania. E ieri la preoccupazione è stata espressa anche dal ministro della Difesa di Israele, Yoav Gallant, secondo il quale “l’obiettivo principale di Hamas è quello di prendere il Ramadan, con particolare enfasi sul Monte del Tempio e Gerusalemme, e trasformarlo nella seconda fase del loro piano iniziato il 7 ottobre. L’obiettivo principale di Hamas viene amplificato dall’Iran e da Hezbollah”.

Per Gallant, non bisognare dare ad Hamas “ciò che non è stato in grado di ottenere dall’inizio della guerra e far convergere i fronti di combattimento”. E il messaggio del ministro della Difesa sembrerebbe rivolto anche ai membri del governo di cui fa parte: in particolare al ministro della Sicurezza Itamar Ben-Gvir, rappresentante della destra radicale e oggetto di critiche anche da parte della Casa Bianca. “Israele ha avuto il sostegno schiacciante della stragrande maggioranza delle nazioni. Ma se continua così, con questo governo incredibilmente conservatore che hanno, con Ben-Gvir e altri, perderanno il sostegno di tutto il mondo. E questo non è nell’interesse di Israele”, ha sentenziato il presidente statunitense parlando alla Nbc. Ed è un segnale che non può essere sottovalutato da Netanyahu, visto il peso che Washington ha non solo nella politica mediorientale, ma anche nella stessa politica di sicurezza dello Stato ebraico.

La guerra a Gaza e le elezioni in Israele

Tutto sembra dunque dipendere dal negoziato in corso in queste ore. E questo riguarda anche gli altri fronti di questa crisi che ha come epicentro la Striscia di Gaza (dove secondo le autorità locali i morti avrebbero ormai superato i 29mila). Hezbollah, la milizia sciita del Libano, ha fatto sapere ai media di essere pronto a rispettare l’accordo per il cessate il fuoco firmato da Hamas, legando così il destino dell’exclave palestinese a quello del Paese dei cedri. Ieri un comunicato di Unifil, la missione delle Nazioni Unite nel sud del Libano, ha affermato che “gli eventi recenti hanno il potenziale di mettere a rischio una soluzione politica per questo conflitto”, e ha chiesto a tutti gli attori in campo “di fermare le ostilità per evitare un’ulteriore escalation e lasciare spazio a una soluzione politica e diplomatica che possa riportare stabilità e garantire la sicurezza della popolazione in questa regione”. E mentre la tensione aumenta insieme all’ansia per i negoziati, Israele ha visto le prime elezioni locali dallo scoppio della guerra: non un voto sul governo, dicono gli analisti, ma un primo termometro sull’elettorato.