Il dibattito sul ddl zan
Identità di genere, non confondiamo il diritto con l’arbitrio
«Cari compagni, mentirei se vi dicessi che mi avete persuaso». Chiedo scusa se mi permetto di usare l’incipit di uno storico intervento congressuale di Pietro Ingrao per svolgere alcune considerazioni non già sulle prospettive del socialismo, ma più banalmente su quanto passa il convento in questa sventurata fase politica: il ddl Zan.
Premesso che una persona omotransessuale ha diritto di assecondare le proprie attitudini in piena libertà e senza essere discriminata e offesa; che l’umanità nel suo insieme deve discolparsi per secoli di vessazioni, derisioni, violenze, emarginazioni, veri e propri pogrom e quant’altro di più infame è accaduto nella storia (gli omosessuali, senza che nessuno si occupasse di loro, erano internati nei campi di sterminio nazisti). Ma per quale motivo il riconoscimento dei diritti civili, il bando alle violenze e all’odio, devono imporre agli altri (a questo punto sono loro i “diversi”) una radicale revisione della biologia, priva di ogni fondamento scientifico, che pretende di erigersi a “pensiero politicamente corretto” se non addirittura “unico”? Per formulare queste opinioni non occorre commentare tutti gli articoli. È sufficiente fermarsi al testo del primo, redatto da mano sapiente, che è riportato di seguito.
1. Definizioni
Ai fini della presente legge: a) per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico; b) per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; c) per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi; d) per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.
Io non vedo delle sostanziali differenze tra queste definizioni e – che so? – la percezione del “terrapiattismo”. Il concetto di “sesso” (una “marchio di fabbrica” di Madre Natura) viene confinato in un ruolo residuale, quasi accidentale, buono solo per l’anagrafe. Contano il genere e l’identità di genere. Ed è con quest’ultima definizione che si abusa dell’equiparazione con i diritti civili. Chi proibisce ad una persona omotransessuale di manifestare liberamente il proprio orientamento senza per questo negare il sesso biologico depositato all’anagrafe; salvo i casi – ma la procedura è più laboriosa e deve essere convalidata da un giudice – di trasmigrazione sessuale? Anzi, venga pure una legge che rafforzi queste prerogative.
Ma non si confonda il diritto con l’arbitrio, pretendendo di imporre agli altri di riconoscere un’identità percepita, di riscrivere la biologia e la genetica secondo la regola che ormai è prevalente in ogni attività: non conta più la realtà – neppure la più ostinata, evidente e fisica del sesso – ma la percezione che se ne ha. E per favore non scomodiamo il laicismo contrabbandandolo con un’impostura ideologica. I giacobini contestarono la divinità inventandosi una Dea Ragione, impersonata da una ballerina dell’Opera. Ogni genitore ha il dovere di educare i propri figli alla tolleranza, all’amore e alla comprensione; e a bandire ogni forma di odio e di disprezzo (c’è molto da fare nel contrasto del bullismo). Ma ha il diritto – sancito dalla Costituzione – di farli crescere secondo la propria coscienza e le proprie convinzioni; senza sentirsi colpevole di nulla se li aiuta ad avere un orientamento eterosessuale.
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