«Le correnti in magistratura sono sempre più forti. Vuole un esempio? La recente elezione del procuratore generale della Corte di Cassazione. Per una carica tanto importante (il pg della Cassazione, oltre a tutto il resto, è il titolare dell’azione disciplinare nei confronti delle toghe, ndr) era auspicabile una maggiore condivisione del Plenum. Invece ci sono stati ben tre candidati, ognuno riferibile a un preciso gruppo associativo. Senza togliere nulla a Giovanni Salvi, magistrato decisamente meritevole e di altissimo profilo professionale e morale, la sua elezione è avvenuta a maggioranza, con 12 voti a favore e ben 5 astensioni. Per una così alta carica, in questo momento, una maggiore condivisione sarebbe stata auspicabile e non avrebbe dato adito a reciproche recriminazioni correntizie. Insomma, poteva essere un segnale e invece si è proseguito con lo stesso sistema anche su altre importanti nomine. Quali Torino, Brescia e Salerno». Antonio Leone, presidente del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, fino allo scorso anno componente laico del Csm, non crede che dopo lo dimissioni forzate di cinque togati sia cambiato qualcosa a Palazzo dei Marescialli.
Presidente Leone, è scettico?
Guardi, lo “scandalo” Palamara fino a oggi ha prodotto solo un cambiamento degli equilibri al Csm, con la corrente di Davigo che è passata da due a quattro consiglieri, cinque se vogliamo considerare anche l’indipendente Di Matteo che è stato appoggiato dall’ex pm di Mani pulite. I tanti magistrati italiani che nel 2018 votarono per i cinque consiglieri che si sono dimessi non hanno ora rappresentanza. Le pare normale? Non credo. Sa come si chiama in politica una cosa del genere? Ribaltone bello e buono.
Il problema della magistratura ha un nome e un cognome: Luca Palamara. Concorda?
Palamara è diventato il capro espiatorio della magistratura italiana. So per certo che molti magistrati fanno addirittura fatica a pronunciarne il nome. È diventato il simbolo della lottizzazione correntizia. Ma le oltre mille nomine che sono state fatte nella scorsa consiliatura non credo siano solo farina del sacco dell’ex consigliere Palamara. Dove erano tutti coloro che oggi lo attaccano e gridano contro il sistema clientelare della spartizione degli incarichi? E dove sono quelli che avrebbero ‘usufruito’ della incriminata spartizione? Il fil rouge dell’ultimo congresso nazionale dell’Anm è stato sostanzialmente: “Basta con Palamara!”. Ma prima di lui lo strapotere delle correnti non esisteva?
Che idea ha di questa vicenda?
Tutto nasce dall’indagine di Perugia. Indagine che era nota a ognuno di noi fin dal mese di settembre del 2018, quando un importante quotidiano nazionale pubblicò in prima pagina i dettagli del procedimento pendente a Perugia che riguardava Palamara. Nessuno allora si scandalizzò o parlò di fughe di notizie. Vedo molta ipocrisia. E poi, la stura all’inoculazione del trojan, avvenuto lo scorso maggio, qual è stata? E poi, se l’immagina cosa sarebbe accaduto se qualche “trojanino” avesse girato nei dintorni del Csm da una ventina di anni a questa parte?
Quindi al Csm non è cambiato nulla?
I tre candidati per le ultime suppletive, quelle per eleggere il sostituto del consigliere Paolo Criscuoli, erano tutti riconducibili a una corrente, avendo fatto in passato anche vita associativa con incarichi nell’Anm. Il tanto sbandierato ‘pluralismo’ delle candidature che fine ha fatto? E anche le nomine di importantissimi uffici giudiziari, Roma in primis, sono al palo. Ma non solo: le nomine in dirittura di arrivo vengono bloccate e rimesse in discussione in ossequio, sembra, alle risultanze ‘trojanesche’. Mi riferisco al caso della Procura di Salerno che è tornata in Commissione per valutare che tipo di rapporti avesse avuto l’aspirante con Palamara.
Cambiamo argomento, cosa pensa della riforma “epocale” della giustizia di Bonafede?
La riforma di Bonafede? E chi l’ha vista? Doveva essere pronta per la fine di quest’anno e invece ci sono stati solo annunci per soddisfare l’elettorato giustizialista. Il blocco della prescrizione provocherà il collasso delle Corti d’Appello e creerà una nuova figura giuridica: quella dell’imputato a vita. Siamo di fronte alla fine della stato di diritto. Lo stop alla prescrizione annulla completamente la ratio per cui è stato creato l’istituto stesso. È sostanzialmente un modo per rimediare a un fallimento dello Stato: quello di non riuscire a portare a termine i processi. Il ricorso al “fine processo mai”, diciamocelo, diventa sostanzialmente una sostituzione. La sostituzione della condanna, che lo Stato non riesce a comminare, con un processo infinito. Siamo alle prese con uno strisciante ricorso a una ideologia giustizialista, o giacobina che dir si voglia, che valorizza la teoria in base alla quale siamo tutti e sempre presunti colpevoli. Teoria, questa, molto cara anche a qualche alto magistrato. Questa assurdità riesce a mettere al bando due “parole” di non poco conto: umanità e innocenza. Per non parlare, poi, del giusto processo che servirà solo a riempirsi la bocca. Contro questa riforma, ricordo, si sono schierati gli avvocati penalisti, numerosissimi e autorevoli professori di diritto, e anche molti magistrati. Il ministro, invece, continua a usare toni trionfalistici e propagandistici, supportati da argomentazioni – direi meglio spot – prive completamente di verità.
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Paolo Comi