“La difesa del Paese ha un prezzo: l’Italia raggiungerà il 2% del Prodotto interno lordo da dedicare alla Difesa entro il 2025”. Non poteva essere più chiara Giorgia Meloni. Intervenendo al question time di mercoledì al Parlamento, la presidente del Consiglio ha confermato l’obiettivo dell’esecutivo di rispettare le indicazioni della Nato e di andare incontro alle nuove strategie dell’Unione europea. Si tratta di una spesa importante. L’Italia, ad oggi, destina circa l’1,5% del PIL per la Difesa, per un totale di quasi 32 miliardi di euro l’anno di spesa del Bilancio dello Stato. Per arrivare al 2%, la cifra deve salire a 40 miliardi. Servono, pertanto, 8 miliardi di euro in più da destinare al comparto.

Il nodo risorse

Il tema è dunque dove trovare le risorse. In questo caso le strade sono due. La prima: taglio delle spese di Bilancio dello Stato e destinazione dei fondi alle armi. La seconda: fare più debito attivando la clausola del Patto di stabilità che consente agli Stati di sforare i limiti di Bilancio per favorire il processo di riarmo.

La prima strada è sicuramente complessa. Se una cosa è diventata certa nel nostro Paese, è che tagliare la spesa pubblica è difficilissimo. Veti incrociati delle parti sociali, pastoie burocratiche infinite e poca convinzione politica rendono questo sentiero difficile da percorrere. La via dell’indebitamento, al momento, ha solo una difficoltà: Giancarlo Giorgetti. Il ministro dell’Economia ha chiaramente detto più volte di essere contrario a nuovo debito per la Difesa. Pertanto Meloni dovrà convincere i suoi compagni di governo della necessità di mantenere gli impegni internazionali.

La terza via

Con ogni probabilità, però, la presidente del Consiglio sa che si può percorrere una terza via. Si tratta dell’emissione di debito comune da parte della Commissione europea da destinare agli investimenti dei singoli Paesi. Una sorta di “Pnrr delle armi” che permetterebbe al governo italiano di evitare tensioni sul finanziamento del settore della Difesa.

Non si tratta, come spiegano diversi analisti, di emettere nuovo debito da parte del Belpaese, ma semplicemente di accedere a un accordo europeo che finanzierebbe a fondo perduto l’efficientamento della Difesa italiana. Questa strada è in fase molto avanzata a Bruxelles, nonostante il Parlamento europeo si stia mettendo di traverso ai piani di Ursula von der Leyen. Il piano di riarmo da 800 miliardi che ha in mente la numero uno della Commissione Ue ha ricevuto uno stop, sia pure formale, dagli eurodeputati nella giornata di mercoledì. Con un’inedita maggioranza, infatti, l’Europarlamento ha votato sì a un emendamento del Movimento 5 Stelle che censura l’esecutivo europeo avvertendo che non può essere scavalcato. Il rischio è che si crei uno scontro inedito tra istituzioni europee, con la Corte di Giustizia chiamata a intervenire.

Il governo Meloni, perciò, conta di poter finanziare i propri programmi evitando tensioni con Giorgetti e la Lega, contrari a nuovi debiti, e soprattutto evitando di aprire un’estenuante trattativa per tagliare risorse ad altri settori. Il piano europeo sarebbe la quadra perfetta anche in prospettiva. Se il Consiglio della Nato dovesse dare il via libera al 5% del PIL che ogni Paese deve destinare alle Difesa, è ovvio che cambierebbe totalmente il Bilancio di uno Stato come l’Italia, stretto tra un enorme debito pubblico e una spesa poco efficiente.

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